il foglio sportivo
I rischi (non solo di immagine) che Donnarumma non ha calcolato
Breve ripasso dei principi economici per capire interessi, percentuali, commissioni e opzioni dietro al divorzio del portiere con il Milan
La vicenda Donnarumma-Milan è un laboratorio per diverse teorie economiche, sotto tre punti di vista alternativi. Da quello del giocatore, la scelta di non rinnovare il contratto col club che lo ha lanciato può intaccare un capitale di simpatia e credibilità di cui Gigio disponeva anche presso i tifosi di altre squadre. È una vera storia di successo: il ragazzo del sud che esordisce a 16 anni in Serie A per diventare, giovanissimo, portiere della Nazionale e capitano del suo club incarna un modello vincente dal valore commerciale inestimabile. Se venisse invece identificato come avido materialista pronto a mettere il club con le spalle al muro, lasciandolo (a parametro zero) per inseguire una manciata di milioni il suo brand ne uscirebbe diminuito. Del Piero e Totti sono testimonial pubblicitari ancora oggi, anni dopo il ritiro, perché associati a un’immagine pulita e vincente non solo sul campo. Il marketing deve identificare un prodotto con narrazioni calorose a cui il consumatore assegna un peso nelle scelte di acquisto. Valentino Rossi chiuse un’onerosa transazione col fisco, sebbene avrebbe potuto intentare un contenzioso da cui (forse) risparmiare diversi milioni, anche per non rovinare il richiamo commerciale degli sponsor se fosse stato percepito dal mercato come potenziale furbetto.
L’immagine è un capitale intangibile a rilascio di reddito lento e prolungato mentre il valore tecnico-sportivo consente al giocatore di monetizzare il suo talento con stipendi alti nel breve. Nel caso di Donnarumma è in gioco lo scambio tra reddito e capitale, un trade-off che fa spesso preferire quest’ultimo ma che il portiere non ha forse calcolato bene. Lasciando il suo club rischia di svalutare un asset personale in cambio di un pick-up di stipendio con una scelta che potrebbe rivelarsi perdente nel lungo termine.
Poi c’è il punto di vista del procuratore che vuole monetizzare, per sé e per il suo assistito, un talento tecnico indiscutibile. Che valore aggiunge questa figura? Trovare al giocatore le migliori opportunità, certo, ma uno sportivo affermato ha meno bisogno di opportunità (le ha già) e più di scelte ponderate. Un filone teorico importante studia le asimmetrie informative. Dopo Akerlof (1970) con il celebre articolo sul mercato delle auto usate, sono concetti ripresi da Spence e Stiglitz, che valsero a tutti questi scienziati il Premio Nobel. Quando in un rapporto negoziale vi è disparità di conoscenza (o competenza) tra le parti, acquista importanza il ruolo di un professionista nell’assistere la parte meno attrezzata.
Ma come fidarsi del procuratore? Qui entra in gioco la agency theory, sviluppata da Jensen e Meckling nel 1976 e divenuta cardine della teoria dell’azienda. Quando un soggetto (detto “agent”) si trova nella posizione di prendere decisioni per conto di un altro (principal) potrebbe preferire il proprio interesse a quello del cliente. Ciò accade in situazioni di asimmetria informativa ma il conflitto agent-principal è ovunque: i manager, ad esempio, sono remunerati anche con azioni, proprio affinché non trascurino gli interessi degli azionisti in favore dei propri. Come il payout delle azioni dovrebbe riequilibrare gli interessi in gioco, la remunerazione del procuratore proporzionale ai compensi del giocatore riallinea gli interessi mitigando il conflitto agent-principal tra i due. Se tuttavia un procuratore negozia col nuovo club una ricca commissione per favorirvi il trasferimento del suo assistito, il meccanismo equilibratore salta. Supponiamo che un club assecondi le richieste di Raiola, offrendo a Donnarumma un contratto da 10 milioni netti (20 lordi) per 5 anni: operazione da 100 milioni. Se, come alcuni scrivono, il procuratore ne chiedesse 20 di commissione, il budget dell’operazione salirebbe a 120. Qualora il club destinasse invece l’intero budget a remunerare il giocatore, questi spunterebbe uno stipendio da 12 milioni (anziché 10) di cui pagherebbe al procuratore una percentuale ma non l’intera fee. Chiedendo commissioni l’agente fa un altro mestiere, non perché sia diversa la natura del compenso ma perché si compromette l’equilibrio nel rapporto principal-agent. Diventando potente un procuratore ha la possibilità di ottenere vantaggi anche impliciti dai club. Ad esempio, con scambi di favori che non fanno necessariamente l’interesse del giocatore ma di altri suoi colleghi e dell’agente. Anche qui è terreno di asimmetrie informative dove l’assistito crede che il procuratore tratti il suo contratto mentre gestisce in realtà un complesso di interessi (legittimi) che il giocatore non conosce del tutto.
Infine, la posizione del club. Al Milan conviene perdere un capitale a zero o sarebbe meglio cedere alle richieste di Raiola preservando il valore del cartellino? Qui entra in gioco un’altra teoria economica, quella delle opzioni. Concedendo all’agente una clausola rescissoria il club vende inconsapevolmente al mercato un’opzione call, regalando la facoltà di comprare il suo asset (un giocatore) a un prezzo prefissato. Questa opzione ha un valore di cui il club dovrebbe tenere conto. Dipende dal prezzo di esercizio della clausola, dalla volatilità dei prezzi sul mercato, dal valore odierno del cartellino. In un mercato oggi depresso, ma che dovrebbe risalire, l’opzione call può rappresentare un capitale enorme. Un’opzione a costo-zero, si direbbe, ma non proprio. Perché nel costo-opportunità di un rinnovo a Donnarumma bisogna contare anche la rinuncia ai guadagni futuri che il Milan otterrebbe comprando un altro portiere (cosa che il club ha fatto con Maignan) e rivendendolo un giorno a prezzo maggiore. Soprattutto se, nel frattempo, il cost of carry (lo stipendio) del nuovo portiere è nettamente più basso. La conoscenza dei principi economici non è quindi del tutto inutile in un’industria in cui le risorse sono scarse e dove garantire un ritorno finanziario ai capitali impiegati diventa un fattore di successo.