Il Foglio sportivo
Nadal e Djokovic non sono eterni ma sono ancora lì
Il tennis continua e mentre nelle seconde e terze file tutto cambia, quando si arriva dalle parti del podio, la situazione si cristallizza. La next gen del tennis è ancora quella di Rafa e Nole
"Eravamo giovani, eravamo arroganti, ridicoli, eccessivi, avventati, ma avevamo ragione” recita una frase di Abbie Hoffman. Chi sono i giovani nel tennis di oggi, chi sta dalla parte della ragione? Subito dopo aver conquistato l’ultimo punto della partita, ai quarti di finale contro Matteo Berrettini, Novak Djokovic ha lanciato un urlo pieno di rabbia, spaventoso, ridicolo ed eccessivo, come avrebbe detto Hoffman. Il tennista serbo numero uno dal mondo ha vinto in carriera più di 950 partite, 83 titoli, 18 Slam, a trentaquattro anni che cosa ha ancora da urlare, ne ha davvero bisogno? Per non parlare di Rafa Nadal, che ogni volta comincia a saltellare ancora prima dell’inizio del match, nel corridoio che porta dagli spogliatoi al campo, come se nessun gesto fosse scontato, acquisito, suo per sempre, nemmeno dopo tredici Roland Garros, (il primo nel 2005 e l’ultimo l’anno scorso) e un record a Parigi di 105 vittorie e due sconfitte. “A un certo punto della partita, Nadal giocava a tennis, io correvo e basta”, ha detto Jannik Sinner dopo essere stato uno dei 105 sconfitti made in Rafa.
La prima volta che ci si è chiesti se Alexander Zverev potesse diventare il nuovo numero uno del mondo era il 2018 e l’Economist titolava: “He’s got balls”, questo ragazzo ha le palle. Vero, ma quelli arrivati prima di lui le hanno più grosse. In quel momento, il ricambio generazionale sembrava imminente, tra nostalgie preventive e infondati dilemmi del tipo: “come faremo senza?”. Non lo sappiamo ancora. Il tennis continua e mentre nelle seconde e terze file tutto cambia, i giocatori crescono, si fermano, conquistano posizioni oppure spariscono, seguono la normale evoluzione di una carriera, quando si arriva dalle parti del podio, la situazione si cristallizza, i cannibali non sono eterni ma sono sempre lì e non indietreggiano di un passo. I mostri rimangono mostri e le giovani promesse rimangono promesse pur avendo smesso da tempo di essere giovani. È più merito dei primi o colpa dei secondi?
I trentacinquenni di oggi rubano l’ossigeno, tolgono l’aria, vogliono tutto e lo vogliono ancora, come se l’elenco ogni anno più lungo dei titoli conquistati non bastasse ancora, ai ventenni non lasciano che le briciole, a volte concedono loro qualche frase di circostanza: “il ragazzo si farà”, “arriverà il suo momento”. Ma anche gli attuali ventenni hanno qualche responsabilità, timorosi come sono, sempre così spaventati, riverenti, incapaci di urlare. Il killer instinct era prerogativa dei millennial, che se lo sono divorato. Dominic Thiem ha dovuto aspettare una pandemia che ha impedito a molti giocatori di raggiungere gli Stati Uniti e la squalifica di Novak Djokovic per conquistare uno Slam, a ventisette anni, con una promessa da mantenere presa ogni volta a pallate dai soliti tre, Federer, Djokovic e Nadal, il triumvirato della racchetta.
Dal 2004 a oggi, in diciassette anni, a parte un’incursione di Murray per 26 settimane, il trono del tennis è stato solo loro. Nei quindici anni precedenti, prima dell’arrivo dello svizzero, i numeri uno al mondo sono stati sedici, tra questi Lendl, Edberg, Becker, Sampras, Agassi, Safin, Hewitt, Moya, Roddick, alcuni campionissimi, altri campioni e basta ma con un killer instinct che permetteva loro di non inchinarsi di fronte a nessuno, non in campo, non durante la partita. “Quando affronti i più grandi devi essere pronto fisicamente e mentalmente. I giovani talenti non lo capiscono. Non si tratta solo di giocare a tennis, si tratta di carattere e personalità”, ha detto a proposito delle ultime vittorie di Djokovic e Nadal proprio Becker. Sotto di due set a zero contro Lorenzo Musetti, il tennista serbo non ha dubitato nemmeno per un istante di poter perdere la partita. È arroganza, fiducia, o è semplicemente l’atteggiamento di chi sa di avere ragione, di chi sa di essere giovane? La sensazione che si ha guardando il Roland Garros è che i mostri, arrivati al dolce sono ancora affamati, seduti al tavolo, mentre i rappresentanti della Next Gen invece di servirsi rimangono a digiuno. Nonostante l’età non sono loro i giovani di questo sport.