Senza tv, ma alla radio e in compagnia di tre librai, Euro 2020 è molto più emozionante
Abbandonata la vista, il senso più rilevante per una partita di calcio, tutto si fa chiaro: questi sono i primi Europei che sfidano lo spaziotempo
A un certo punto temo che gli eventi diventino leggendari oltre i confini del fantozziano, corra la voce incontrollata che l’Italia stia vincendo 20-0 e che abbia segnato Donnarumma in rovesciata. Con l’aggravante che l’Italia nemmeno gioca. Per consolarmi infatti dell’apertura della Maturità – gli insegnanti iniziano due giorni prima, con le riunioni organizzative e una pigna di verbali da compilare a priori – di pomeriggio ho preso la macchina e sono andato a Pavia per parlare con le mie autorità di riferimento: tre librai, uno milanista uno interista uno juventino, la cui libreria coi grandi eventi calcistici diventa il bar sport più colto del pianeta. Percepisco quindi la giornata dell’Europeo senza il senso più rilevante, la vista, e assisto alle tre partite in un ibrido di radiolina e diretta scritta sul web. Così i fatti si dilatano e si trasfigurano in simboli intricati come i capilettera del Book of Kells. L’autorete di schiena di Szczesny (sicuri non fosse un triplo carpiato?) diventa uno spasmo nervoso alla notizia che Buffon ha fatto intendere che andrà a giocare nel Parma, come se avesse ancora diciassette anni e non cinquantasei. La traiettoria del goal di Schick si prolunga progressivamente col passare delle ore e, a sera fatta, pare assodato abbia segnato a Glasgow tirando direttamente da Praga.
In realtà, mi fanno notare i librai che se ne intendono, l’idea di quel tiro antigravitazionale e illogico dev’essergli sorta da una considerazione lampante: sono questi i primi Europei che sfidano lo spaziotempo, rivelandolo al volgo quale mera convenzione. Contro il tempo milita il nome stesso Euro 2020, che grazie a quel marchio registrato posto all’apice della cifra impedisce agli anni di passare (lo ha spiegato bene Francesco Caremani sul Foglio) e realizza la visionaria preconizzazione di David Foster Wallace in “Infinite Jest”, dove gli anni non erano più individuati dal numero ma denominati con uno sponsor di volta in volta diverso, Anno del Pannolone Depend, Anno dei Cerotti Tucks. Magari fra due o trecento anni qualche archivista distratto, travolto dalla mole documentale, si convincerà che Euro 2020 si sia davvero tenuto nel 2020 – argomenta con la consueta acribia filologica Gino Cervi, che sta a Pavia pure lui, come quell’altro gran milanista padano di Mirko Volpi e l’istoriografo Michele Ansani: Pavia è una specie di Scuola di Atene della ciacola calcistica competente ed erudita, ma mi dicono ci sia anche un’Università.
Contro lo spazio il discorso è più sofisticato. Quel retrogrado di Čeferin, uno che non azzarda la Superlega neanche quando gioca alla playstation, ha già detto che l’Euro itinerante resterà un’eccezione. Non si è reso conto (dettagli) che giocare a Roma Siviglia e Londra, Amsterdam Copenaghen e Monaco, non solo è bello ma anche fattibile, tanto che lo stiamo facendo. Se guardassimo l’Europa dalla prospettiva di un qualsiasi altro continente, ci accorgeremmo che è una piccola propaggine dell’Asia. A Pavia ci sono da sempre universitari che fanno un semestre qui e uno in Finlandia, coppie distanti che per vedersi fanno weekend a Barcellona o a Mainz. I Mondiali del 2026 saranno organizzati da Canada, Usa e Messico e lì sì che ci sarà da viaggiare; sicuri che per i prossimi Europei vogliamo confinarci in fazzoletti di terra, i turni preliminari a Vidigulfo e Gambolò, ottavi e quarti a Rivanazzano e Salice, semifinali e finalissima fra Borgo Ticino e il campo del Cus?
Considerato da una prospettiva globale, Euro 2020 è territorialmente compatto e il goal di Schick è da distanza ravvicinata: 45 centimetri, 45 millimetri, 45 ångström. Se non che leggendo i giornali inglesi sembra che Euro 2020 sia organizzato dall’Inghilterra, mentre guardando la Rai (gli italiani non leggono) sembra non solo organizzato ma anche già vinto dall’Italia. Magari a Budapest sono convinti che il torneo sia ospitato dall’Ungheria perché grazie a Orbán la Puskas Arena usa tutti i posti a sedere. Su Eurosport appare addirittura il titolo “Italia: aperto il concorso per trovarle un difetto”; segue gran toccata dove sapete e ritorno in macchina con l’autoradio su Spagna-Svezia. Apprendo che la Spagna attacca dal primo all’ultimo ma gli svedesi resistono grazie a un’ingegnosa piramide umana sulla linea di porta, causando il linciaggio di Luis Enrique trascinato dalla folla inferocita davanti alla sede del Real Madrid, club di cui ha ignorato l’esistenza diramando le convocazioni. In tv sarebbe stato meno emozionante.