verso Italia-Galles
Il pallone in Galles non è sferico ma ovale
Il Galles con l’Italia proverà a conquistare la vetta del gruppo A, o quanto meno a centrare gli ottavi di finale. Ma è un altro lo sport che unisce e rappresenta questo stato: il rugby, come racconta "La meta più bella della storia" di Marco Pastonesi
Gorseinon, costa sud del Galles, a metà strada tra Swansea e Llanelli. 16 gennaio 1971. Il cadavere di un uomo venne ritrovato dalla moglie verso le sette di sera. Nessun segno di scasso. Sette coltellate, la seconda mortale. Stava disteso senza vita da un paio d’ore circa, constatò il medico legale. L’uomo si chiamava Ryan Flynn, era un insegnante di musica.
Il poliziotto a cui vennero affidate le indagini capì al volo che quello era un omicidio premeditato e premeditato bene e che sarebbe stato difficile, forse impossibile trovare il colpevole. Perché quel giorno, quel pomeriggio del 16 gennaio del 1971 si giocava Galles-Inghilterra, prima partita del Cinque nazioni e quasi tutta Gorseinon era al pub a guardare la partita. E chi non era al pub era al Cardiff Arms Park per assistere a quella che fu una delle più grandi vittorie dei gallesi contro gli inglesi.
La polizia indagò a lungo, scoprì che Flynn era un dongiovanni: molte donne, diverse sposate. Per questo era stato minacciato. Tutti gli indiziati però avevano un alibi. Li avevano visti tutti al pub. E in un paese che a consider tutta la campagna non arriva nemmeno a venti mila abitanti, forse non tutti si conoscono, ma nessuno è sconosciuto. Finì che l’assassino non fu mai trovato. Il crimine rimase impunito. E per decenni a Gorseinon ci si convinse che quella fosse la maledizione del rugby nei confronti dello spocchioso maestro Flynn che diceva a tutti che il rugby fosse uno sport idiota e per beoni. Mai dire certe cose in un paese che vive di rugby. Sport che sarà pure nato in Inghilterra, ma è “intimamente, profondamente, spiritualmente gallese. Perché se per tutti il rugby è sport e spettacolo, arte e passione, educazione e istruzione, cultura e letteratura, orgoglio e disciplina, appartenenza e filosofia, per il Galles è molto di più: religione”, scrive Marco Pastonesi in “La meta più bella della storia” (Baldini+Castoldi, 200 pagine, 16 euro).
Una cosa del genere probabilmente non sarebbe potuta accadere se invece del Sei Nazioni si fosse giocato l’Europeo o il Mondiale di calcio. E non sarebbe potuta accadere per il semplice motivo che la quasi totalità dei cittadini non si sarebbe mai ammassata nei pub per assistere a una partita di calcio.
Cinque anni fa un noto marchio di bevande non alcoliche commissionò un sondaggio per scegliere quale fosse l’uomo immagine giusto per il mercato britannico. L’azienda voleva puntare su un personaggio per tutto il Regno, più un altro da affiancare a questa prima scelta per ogni Home Nations. Per il Galles avevano pensato a quattro nomi. Uno di questi era il calciatore gallese più conosciuto: Gareth Bale. Giocava nel Real Madrid, era belloccio, un bravo ragazzo, il massimo pensarono. Non fu così. Al primo posto del gradimento finì Alun Wyn Jones, ora recordman di presenze della nazionale gallese di rugby; al secondo posto si classificò Shane Williams, anche lui rugbista, ma che aveva già dato l’addio ai Red Dragons. Bale finì quinto su cinque. I gallesi gli preferirono sia George North, un terzo rugbista, sia Geraint Thomas, il ciclista della Sky che ancora non era riuscito a vincere il Tour de France. E il motivo era semplice: aveva parlato qualche mese prima della sua passione per il rugby.
Il Galles con l’Italia proverà a conquistare la vetta del gruppo A, ma deve battere gli Azzurri. Si accontenterebbe pure di un pareggio per essere sicuro del secondo posto. In molti la vedranno, quasi nessuno con il trasporto di una partita dei Red Dragons. Per un altro pallone batte il cuore dei gallesi. E non è sferico, ma ovale.
D'altra parte fare un viaggio nel rugby gallese, vuol dire fare un viaggio nel rugby in generale, perché se è vero che questo sport non è vissuto nello stesso modo in tutto il mondo, non è giocato da tutti alla stessa maniera, quello gallese è un concentrato di passione, forza, intensità e convinzione che magari fosse giocato così ovunque. O forse no, forse è meglio che sia un’eccezione. Un paese che “ha una superficie inferiore a quello della Lombardia e una popolazione inferiore a quella della città metropolitana di Milano: ventimila chilometri quadrati e tre milioni di abitanti. Densità scarsa di abitanti, concentrazione altissima di rugbisti”. Il paese più piccolo che gioca il Sei Nazioni, capace però di vincerlo più di tutti gli altri, 40 volte (tra Home Nations, quando era sfida tra britannici, Cinque nazioni, quando la sfida ha superato la Manica, e Sei, quando ha valicato pure le Alpi). L'ultimo quest'anno.
È un bel mistero quello gallese, un mistero che Pastonesi racconta facendo passare l’ovale a uomini mitici e vicende eroiche, rincorrendo uomini comuni e storie minori, dentro stadi celebri o campi dispersi in quei ventimila chilometri quadrati pieni di X e di Y e di K e rugby e di canti e pinte al pub.