facce da euro 2020
Il totem Teemu Pukki
Agli Europei l'attaccante della Finlandia insegue due obbiettivi: centrare il primo gol in un grande torneo internazionale e sfilare a sua maestà Jari Litmanen lo scettro di capocannoniere della Nazionale
Il vertice internazionale di Parigi si è concluso da pochi minuti. I grandi del mondo hanno voluto incontrarsi faccia a faccia all’Eliseo per confrontarsi problemi che rischiano di condizionare il futuro del pianeta. Hanno parlato di cambiamento climatico. Hanno parlato di immigrazione. A un tratto il presidente finlandese Antti Rinne si avvicina a Emmanuel Macron. Gli stringe la mano con energia. Poi gli sussurra qualcosa. Gli ha portato un regalo. E vuole che venga scattata una foto per suggellare il momento. I due presidenti si mettono in posa davanti agli obiettivi. Macron stira fa faccia in un sorriso mentre stende fra le mani una maglia bianca. È la casacca della Finlandia. Sul retro c’è stampato il numero dieci. E la scritta Pukki. Niente riesce a spiegare meglio il fermento che si era venuto a creare intorno all’attaccante finnico in quel settembre del 2019. Perché Teemu Pukki è diventato punta di culto suo malgrado. Senza aver vinto un trofeo importante, prima ancora di aver giocato in uno dei tornei principali del Vecchio Continente. È stata la sua normalità a renderlo straordinario. È stato il suo aspetto così retrò a trasformarlo in un totem fuori dal tempo. Per una nazione intera.
Perché prima del 2019 il ragazzino cresciuto con il mito di Ronaldo aveva fallito praticamente ovunque. In un Paese votato all’hockey su ghiaccio, lui aveva scelto di giocare a pallone. E a molti non era sembrata una buona idea. L’album di famiglia racconta una storia molto particolare. Mentre le sorelle passavano il loro tempo a giocare con i pappagalli, lui preferiva esibirsi in altri numeri. A volte erano boccacce e smorfie. Più spesso dribbling nello stretto. L’ascesa è rapida, la consacrazione arriva a 16 anni. O almeno così sembra. Pukki gioca un torneo riservato agli under 17 in Portogallo. Ci sono decine di talenti. Eppure tutti gli occhi sono fissi su quel ragazzo che non spiccica una parola, ma fa parlare gli addetti ai lavori. Il suo nome diventa inchiostro nero sui taccuini degli osservatori di molti club. Il più veloce è il Siviglia di Monchi. Il ds a metà strada fra il guru e la rockstar stacca un assegno. Centottantamila euro e il ragazzo vola in Andalusia. Ed è proprio questo il problema. Perché non c’è posto più distante dalla sua Kotka di Siviglia. Il caldo è soffocante. Si appiccica intorno al collo di Pukki, gli toglie il respiro, gli sgonfia i muscoli delle gambe. L’uomo di ghiaccio rischia di sciogliersi al sole. La mamma si trasferisce con lui in Spagna. D’altra parte il padre lo aveva accompagnato tutti i giorni agli allenamenti. Per una vita intera. Ora toccava a lei stargli vicino. "Ero molto giovane, è stato un passo troppo lungo - ha ricordato il giocatore - non conoscevo la lingua, ero timido, molto più di adesso. E poi Siviglia era troppo calda. Non avevamo nemmeno i climatizzatori".
In Liga gioca una volta sola. Senza lasciare traccia. L’addio è la cosa migliore. Per tutti. Pukki torna a casa, firma per l’HJK Helsinki. Un trasferimento che è una boccata di ossigeno. Ma anche di anidride carbonica. Perché l’attaccante non riesce a capire quale possa essere la sua dimensione, pensa di essere condannato a un destino da pesce grosso nello stagno piccolo. Anche in Nazionale stenta. Dieci presenze, zero gol segnati. Non il massimo per una punta. Con l’HJK le cose vanno meglio. Gonfia 13 volte la porta in 25 partite. La periferia sembra andargli di nuovo stretta. Così prova a riavvicinarsi al centro. Prima allo Schalke 04, poi al Celtic. Il risultato è sempre lo stesso. Non un fallimento totale. Ma neanche un successo. Il Brøndby però nota qualcosa che agli altri sembra essere sfuggito. In Scozia giocava largo a sinistra. Ma la sua media di un gol ogni 130 minuti consigliava un utilizzo diverso del giocatore. Più centrale, faccia alla porta, senza obbligo di dribblare l’avversario. Ed è vero. In 4 anni gioca 130 partite. E segna 55 gol. I tifosi danesi gli dedicano una serie infinita di striscioni. La loro ostensione preferita prevede un lenzuolo bianco con il volto ormai stempiato di Teemu e la scritta: "No Pukki, No Party".
Nel 2018 si apre una possibilità piuttosto particolare. L’attaccante si svincola. E inizia a guardarsi intorno. Il Norwich gli offre un contratto. Ha bisogno di un attaccante. Ma ancora non sa che quella punta da 14 reti in 71 presenze con la Nazionale si trasformerà in un bomber. Pukki inizia a segnare. Ancora e ancora e ancora. Chiude la stagione con 29 centri. E trascina i canarini in Premier. Ma la punta torna a essere un interrogativo. Va bene dominare in cadetteria, ora però sarà tutta un’altra storia. "Sarà dura per lui nella massima serie, ma farà bene, sarà motivato e ambizioso al punto giusto per continuare a segnare", dice Ibrahimović. Teemu va avanti. A testa bassa. Dà il meglio quando ha campo davanti a sé, quando può oscillare sulla linea del fuorigioco e scattare alle spalle dei difensori avversari. Un concetto che spiega al Liverpool, al Chelsea, al Manchester City e al Newcastle. Per tre volte. Con cinque reti nelle prima 4 diventa il capocannoniere della Premier e il calciatore del mese di agosto. Poi il Norwich si avvita su sé stesso. E si inabissa. Teemu fa la stessa fine. È di nuovo Champonship. È di nuovo periferia del calcio. Ma dura poco. Pukki torna su medie inspiegabili. Segna 26 reti. Riporta il Norwich in Premier. E trascina anche la Nazionale. Nelle ultime 16 partite fra qualificazioni a Euro 2020 e Nations League ha gonfiato il sacco 12 volte. La Finlandia, che non è mai arrivata al Mondiale, mette un piede nel suo primo Europeo. Un successo che porta la firma del suo attaccante. Ora Pukki lotta per due obiettivi. Centrare il primo gol in un grande torneo internazionale e sfilare a sua maestà Jari Litmanen lo scettro di capocannoniere della Nazionale. Per riuscirci gli mancano due centri. Spera di portarsi avanti col lavoro questa sera, contro il Belgio. Un obiettivo improbo per tutti. Tranne per l’attaccante diventato totem suo malgrado.
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