Alvaro Morata e il diritto alla sensibilità
L'attaccante della Spagna è più volte diventato il capro espiatorio contro il quale si sono scagliati i tifosi. Attorno a lui però si è stretta l’intera rosa, con in testa l’allenatore Luis Enrique
Quasi come una forma di ribellione al cliché del centravanti cinico e spietato, la carriera di Alvaro Morata, con i suoi alti e bassi, può apparire come una sorta di rivendicazione del diritto alla sensibilità, della necessità di tempi e modalità personali per gestire i momenti meno semplici.
Le ultime settimane hanno ribadito l’importanza della serenità, e degli strumenti utili ad acquisirla, per poter rendere al meglio in campo. Una parte del Wanda Metropolitano, stadio dell’Atletico Madrid (una delle sue ex squadre), gli ha dedicato un coro, sulle note di Guantanamera, traducibile più o meno così: “Morata, quanto sei scarso”. La gara in questione era solo un’amichevole, uno Spagna-Portogallo di preparazione all’Europeo terminato 0-0.
Successivamente i fischi dello stadio La Cartuja di Siviglia, dopo un paio di occasioni da gol fallite al debutto contro la Svezia, e qualche critica di troppo ricevuta tra stampa e social, hanno trasformato Morata nelll’emblema (se non nel capro espiatorio, in alcuni casi) di una nazionale che fatica a entusiasmare gli spagnoli, alle prese ora più che mai con un robusto ricambio generazionale. Delle prestazioni a Euro 2020 dello juventino non si è però sottolineato l’impegno, l’essersi messo al servizio di una squadra che stenta nella produzione del gioco, prodigandosi in molte rincorse e recuperi palla.
Attorno ad Alvaro Morata si è stretta l’intera rosa, con in testa l’allenatore Luis Enrique. Il tecnico asturiano, per ribadirne l’importanza, ha riproposto lo slogan - “Domani giocano lui e altri dieci” - che Maradona, ai tempi della sua esperienza da ct dell’Argentina, utilizzò per Mascherano. Morata ha apprezzato, al punto di dedicare un abbraccio al suo allenatore subito dopo la convalida del gol del provvisorio vantaggio della Spagna contro la Polonia sabato scorso.
Nel cerchio magico dello staff dell’ex allenatore di Roma e Barcellona figura da anni uno psicologo. Si chiama Joaquín Valdes e ha la stessa importanza del preparatore atletico, dell’allenatore in seconda e dell’analista tattico. Lo si può evincere dalle parole pronunciate da Morata a ridosso dell’incontro con la Polonia, che riflettono tranquillità e consapevolezza: “So che Joaquín è a mia disposizione e di tutti i miei compagni. Ho una carriera lunga alle mie spalle per preoccuparmi di cosa pensa la gente di me. Mi interessa quello che pensano i miei compagni”. Consapevolezza, soprattutto, dei mesi difficili vissuti qualche anno prima. A novembre 2018 Morata rivelò di aver avuto bisogno di tempo, e di un professionista, per ritrovare la felicità sul campo di gioco: “Avevo problemi con me stesso, scarsa fiducia, poca voglia di allenarmi e di andare a giocare. All’inizio provavo vergogna nell’andare da uno psicologo per raccontargli i miei problemi” spiegò in un’intervista ad Abc. Il riferimento è al suo primo anno al Chelsea, quando un infortunio alla schiena lo fermò nel suo periodo migliore e da lì una forte sensazione di negatività legata al calcio iniziò a farsi strada. Una sintesi di quella stagione provò a fornirla, alla sua maniera, Maurizio Sarri, suo allenatore nella prima parte del suo secondo anno londinese: “Morata è fragile mentalmente. A Empoli avevo un giocatore meraviglioso, Saponara, uno dei calciatori più forti che abbia mai visto, ma un po’ fragile dal punto di vista mentale”. L’etichetta del giocatore fragile continuerà ad accompagnare Alvaro Morata, ma poter contare su due allenatori - Luis Enrique in nazionale e Allegri alla Juve - che stravedono per lui potrebbe, una volta per tutte, modificare lo scenario.