No german bombers, l'Inghilterra è ancora qua
Un brindisi per chi tifava Brexit calcistica a Euro 2020. La vittoria a Wembley ci libera dagli aneddoti sulla storia di Germania-Inghilterra
Londra. Football’s coming home. Lasciatemi essere banale e citare la canzone che ci perseguita dal maledetto 1996, la vittoria a Wembley contro la Germania implica una tale quantità di corsi e ricorsi storici da mal di testa. L’Inghilterra è arrivata a questi ottavi di finale con il solito carico di aneddoti su quante volte era stata battuta dai tedeschi, da quanto tempo non vince niente, le nemesi, le sfighe, i gol irregolari, il destino di Southgate, la Seconda Guerra mondiale, Churchill e compagnia banalizzante.
Sia chiaro, la Germania ci sta sulle palle quasi quanto Orbán ai liberal di mezza Europa, ma se c’è qualcosa di buono che ha fatto questa vittoria per 2-0 è costringere a cambiare la narrazione che ci trasciniamo dietro da decenni. Abbiamo vinto una partita orribile e noiosa, iniziata con i sacrosanti fischi e buu all’inno tedesco, il God save the Queen cantato a squarciagola da un Wembley troppo pieno per i virologi delle redazioni e dei social network e con tifosi troppo bianchi per i fan dell’inginocchiamento prepartita (è un suggerimento per la prossima polemica che vi regalo così, come ieri offrivo birre agli amici al pub).
Ieri Wembley ha ruggito per 90 minuti, accendendosi persino per gli stop azzeccati al limite dell’area inglese, era già bellissimo sapere di potersela giocare con i nemici di sempre (che avrebbero dovuto uscire contro l’Ungheria ai gironi, ma poiché il calcio, non il tennis, è lo sport del diavolo, sono arrivati agli ottavi solo per prendere una lezione da noi). Si è sbloccato persino Harry Kane, per 80 minuti più incommentabile della valutazione che qualcuno ha fatto del suo cartellino (170 milioni o giù di lì), prima di lui aveva fatto gol ancora Sterling, giusto per nutrire la favola che viene ormai raccontata ogni cinque minuti di lui bambino che sogna Wembley, se lo tatua sul polpaccio e poi segna in quello stadio – lacrime, please). Spiace per gli arrapati di “geopolitica del calcio”, devono rimandare le battute sulla Brexit e BoJo fatto fuori almeno di un turno, e per i twittaroli democratici sempre pronti a battute sagaci sulle squadre eliminate in chiave europeista: era andata bene con Ungheria, Russia e Turchia, meno con Germania e Francia.
Come in ogni storia maledetta che si rispetti, ovviamente, stavamo per darci una martellata sulle palle da soli: sull’1-0 l’eroe di giornata Sterling pasticcia a centrocampo e fa partire il contropiede tedesco con Müller che si presenta da solo davanti a Pickford. L’attaccante del Bayern di solito non li sbaglia questi gol, ma forse gli spiaceva rovinare la statistica per cui in Nazionale non ha mai segnato in un Europeo: mentre Sterling si inginocchia, si maledice e pensa a quanto costerà farsi raschiare via il tatuaggio, e a noi inglesi si ferma la birra nell’esofago, il tedesco calcia a lato. C’è quindi gloria anche per Kane, ancora grazie a Grealish, entrato nel tripudio di Wembley e decisivo in entrambi i gol (Southgate oltre a vestirsi molto bene potrebbe farlo giocare un po’ di più, forse). Noi meravigliosi tifosi inglesi sugli spalti non credevamo ai nostri occhi, ci siamo rovesciati sui seggiolini di Wembley in delirio, piangendo di gioia e cantando sciagurati che It’s coming home. Tutto è apparecchiato per una beffa atroce prima della finale, in stile inglese. Fino ad allora però noi ci crediamo. Cheers.