La vittoria a cronometro di Pogačar è un'ottima notizia per il Tour de France
Lo sloveno vince la cronometro di Laval e infligge distacchi pesanti a tutti i rivali. Non poteva andare meglio di così per il proseguo della Grande Boucle. Gli alibi che non ci sono più e la battaglia da dare
Se Tadej Pogačar vince pure le cronometro per lo più pianeggianti c’è più niente da fare per nessuno. Un pensiero del genere è venuto in mente a molti alla conclusione della prova dello sloveno nei dintorni di Laval. Primo a quasi cinquantuno di media e con in saccoccia 44 secondi su Primoz Roglic, oltre un minuto su tutti gli altri corridori che hanno ancora il sogno della maglia gialla, quella che continua a vestire Mathieu van der Poel, che oggi l’ha salvata per otto secondi (chiudendo quinto a 31”).
L’otto è il numero ricorsivo di queste prime cinque tappe del Tour de France. Otto sono i secondi che Julian Alaphilippe ha rifilato ai primi inseguitori nella prima tappa, otto i secondi che l’olandese aveva di vantaggio sul francese dalla seconda alla quarta. E otto sono rimasti anche oggi.
Il fatto che Tadej Pogačar abbia vinto pure una cronometro per lo più pianeggiante è una buona notizia per il proseguo di un Tour de France che sembra aver già chiaramente messo in chiaro i rapporti di forza in gruppo alla prima tappa contro il tempo.
Eppure quello che sembra palese, palese non lo è affatto. Perché Pogačar ha sì vinto a Laval, ha sì raggranellato sinora 40 secondi ad Alaphilippe, 1’21” a Uran, 1’36” a Carapaz, 1’40” a Roglic, 1’46” a Thomas, e via così, ma parte di questo vantaggio è frutto anche di alcune cadute, botte al fisico che serve tempo per smaltirle e che possono trasformarsi in botte al morale da dare e non solo da subire.
Se l’otto è stato il fil rouge da Brest a Laval, potrebbe esserlo ancora nei prossimi giorni. L’ottava tappa del Tour de France condurrà a Le Grand-Bornand, prima frazione alpina, prima banco di prova per capire non tanto la forza dello sloveno, quella è nota ed è straordinaria, ma la volontà di reagire degli avversari. È attorno a questa che la Grande Boucle si dipanerà, anche perché sono in molti a non volere assistere a una corsa tra sloveni. Pogačar e Roglic sono i più forti in gruppo, sino alla caduta della terza tappa del secondo era apparso chiaro, ma di talento e spregiudicatezza in giro ce n’è molto.
E di carte inattese che potrebbero rilevarsi decisive ce ne è più di qualcuna.
A partire da Jonas Vingegaard, luogotenente di Roglic alla Jumbo-Visma, terzo oggi nella cronometro. Il danese contro il tempo ci sa fare, in salita va ancora meglio. E Pogačar questo lo sa bene. Al Giro dei Paesi Baschi verso il traguardo di Arrate non è riuscito a staccarselo di ruota, all’UAE Tour l’ha visto scappare via (ma era primo in classifica e non aveva senso inseguirlo), nel 2018 alla Grand Prix Priessnitz spa (corsa per under 23) l’aveva messo in seria difficoltà in salita. Difficile che Vingegaard possa ambire a un ruolo di capitanato, ma potrebbe essere una delle variabili impazzite che potrebbero scombussolare i piani.
L’altra variabile è l’Ineos, o meglio i piani futuri di Richie Porte, Geraint Thomas, Richard Carapaz e Tao Geoghegan Hart. Tutti e quattro sanno benissimo di essere al momento inferiori rispetto ai due sloveni. Sanno però altrettanto benissimo che a rendere la corsa un inferno può sempre accadere che i migliori cadano in qualche trappola. Ci stava cadendo pure Eddy Merckx al Tour de France del 1971 preso in mezzo al gioco disperato di Luis Ocaña e compagnia, figurarsi se possono fare un passo falso un ragazzo al terzo anno tra i professionisti (ma con una maglia gialla già portata a Parigi) e un corridore che più di una volta si chiamato addosso da solo la sfortuna.
Il Tour oggi ha detto che Pogačar è il più forte, e lo è davvero. Soprattutto ha tolto a tutti gli alibi di giocare in difesa e aspettare la penultima tappa (seconda cronometro). Gli elementi affinché questa Grande Boucle continui a essere una delle corse più spettacolari degli ultimi anni ci sono tutti.