facce da euro 2020
Oleksandr Zinchenko non è mai stato un giocatore banale
Il calciatore dell'Ucraina è uno più amati della Nazionale di Shevchenko. Eppure c’è stato un tempo, non lontano, in cui è stato considerato un traditore, un reprobo, rischiando addirittura di giocare per la Russia
In Ucraina il passaggio di Oleksandr Zinchenko al Manchester City è una specie di favola da raccontare ai bambini e alle bambine prima di andare a dormire. Si narra che dopo averlo visto in un video Pep Guardiola abbia esclamato: "Andiamo!". Secondo molti osservatori il catalano ha lavorato con terzini sinistri migliori di lui, ma nessuno è capace di assorbire le istruzioni tattiche del tecnico come Zinchenko, passando da centrocampista a terzino. Ruoli che nell’Ucraina ricopre all’interno della stessa partita, come ha dimostrato contro la Svezia: gara nella quale è stato bomber e suggeritore, decisivo in entrambi i casi. Idolo in campo e nella comunicazione, mai banale, sia quando parla in televisione che sui social. Ma non è sempre stato così per Oleksandr, anzi. C’è stato un tempo, non lontano, in cui è stato considerato un traditore, un reprobo, rischiando addirittura di giocare per la Russia. Cresciuto nelle giovanili dello Shakhtar Donetsk, dal 2004 al 2014, ha lasciato i gialloneri per trasferirsi all’Ufa, squadra russa della capitale della Baschiria. In un primo momento pensava di andare al Rubin Kazan, ma i dirigenti dello Shakhtar si sono messi di mezzo e, quindi, ha dovuto cambiare piano. Tutto questo mentre nel Donbass si combatteva la guerra tra Russia e Ucraina.
Lo Shakhtar si è rivolto alla Fifa, che l’ha multato di 8.000 euro. Non contento si è rivolto al Tribunale arbitrale dello sport che ha dato ragione al giocatore, il quale nel frattempo si stava allenando con i dilettanti per tenersi in forma. Due stagioni in Russia sono bastate per farsi notare dal City, ma nel frattempo, quando tutti l’avrebbero volentieri lasciato andare, la federazione, venuta a sapere che i russi volevano naturalizzarlo per farlo giocare in nazionale, l’ha convocato, facendolo esordire il 12 ottobre 2015 contro la Spagna per le qualificazioni a Euro 2016. Degna conclusione di chi aveva scalato tutte le rappresentative ucraine, partendo dall’Under 16.
Il 29 maggio 2016, nell’amichevole di Torino contro la Romania, terminata 4-3 per l’Ucraina, è diventato il più giovane marcatore di sempre in nazionale. Nessuno l’avrebbe mai detto due anni prima, quando ha deciso di rescindere unilateralmente con lo Shakhtar per giocare in Russia, che sarebbe diventato uno dei giocatori più forti e contesi d’Europa. In realtà la sua crescita è stata calibrata, qualcuno potrebbe dire lenta, sotto le mani di Guardiola, iniziando con il prestito al PSV Eindhoven, prima di diventare a tutti gli effetti un calciatore del Manchester City. Dopo quattro stagioni con la maglia dei Citizens, in Inghilterra, ha vinto tutto: tre Premier, una FA Cup, quattro coppe di Lega e due Community Shield. Gli manca l’alloro europeo, sfiorato poco più di un mese fa nella finale di Champions persa contro il Chelsea.
Intanto con la nazionale maggiore ha messo insieme 43 partite e 7 gol, non male per un difensore; 61 e 0 con il City. In questo Europeo ha giocato sempre titolare e Shevchenko non lo ha mai tolto, permettendogli di fare il quinto in difesa, il trequartista tra le linee e l’attaccante aggiunto, a seconda dei momenti e dell’inerzia della partita. Momenti e inerzia che contro la Svezia Zinchenko ha dimostrato di sapere leggere alla perfezione, prima segnando su assist di Yarmolenko, poi crossando per la testa di Dovbyk al centoventunesimo minuto: gol che ha permesso all’Ucraina di vincere evitando i calci di rigore, regalandosi il quarto di finale. Nel 2018-19 la sua stagione migliore, quella del cappotto inglese del Manchester City, tanto da essere eletto giocatore ucraino dell’anno. La sua polemica esultanza al momento dell’1-0 contro gli svedesi racconta, però, qualcos’altro. Evidentemente il suo passato da ribelle non è stato del tutto rimosso dalla memoria degli ucraini, così basta qualche prestazione ‘normale’ per renderlo vulnerabile. Poi, per rimettere a posto le cose, c’è sempre il campo; Inghilterra permettendo.