Il Foglio sportivo
Tutti a casa dell'uomo che mette le ali
Chi è Dietrich Mateschitz, che con il brand Red Bull ha rivoluzionato il mondo dello sport
Al signor Red Bull piace far spuntare le ali ai suoi giocattoli. Non solo negli spot pubblicitari delle sue lattine. Ama gli aerei, tanto da aver fatto costruire Hangar 7 a Salisburgo, un luogo che abbina e combina cucina, arte e aviazione. Gli piace volare e far volare le sue squadre. Quando mette le mani su uno sport lo fa solo per vincere. Gli piace mettere le ali alle cose che tocca, ottenere l’effetto che fanno le sue bevande su chi ha una botta di sonno o di stanchezza. Butti giù quell’insieme di taurina e caffeina e ti senti un leone. Se la bevi fredda non è neppure così male. Nel 2020 ne sono state vendute 7,9 miliardi di lattine (in alluminio riciclabile), il 5,2 per cento in più rispetto all’anno precedente, con oltre 12mila dipendenti e un fatturato di 6 miliardi. Il signor Red Bull, “Didi” per gli amici, è Dietrich Mateschitz e anche per questo fine settimana ha invitato tutti nel giardino di casa per il secondo Gran premio di fila sulla sua pista.
Domenica scorsa era il Gran premio di Stiria, dopodomani quello d’Austria, ma la sostanza non cambia: si corre su quello che dal 2011 dopo 70 milioni di investimenti è diventato il Red Bull Ring con tanto di Toro gigante a far da sfondo al panorama. Il signor Red Bull spesso accoglie tutti in costume tirolese, magari con una lattina in mano. Adesso ce ne sono di tanti gusti: cocco, anguria, frutti rossi, limone, dragon fruit, cola con o senza zucchero come tutte le soft drink che si rispettino. Lui vive in un castello non lontano dalla pista, almeno quando non è nella sua isola alle Fiji dove guida il sottomarino privato, uno di quelli con le ali come fosse un aereo che solo Richard Branson o James Cameron, il regista di Titanic e Avatar, possiedono.
Non è stato facile invadere il mondo. All’inizio nessuno voleva bere quell’intruglio scoperto per caso durante un viaggio in Thailandia. Dopo averci messo una decina d’anni a laurearsi in marketing all’Università di Vienna (era più interessato a feste e ragazze: “Facevo la guida turistica in estate, il maestro di sci in inverno, non avevo molto tempo per studiare, ma poi quando cominci ad avere 28/30 anni capisci che devi darti una mossa”), Mateschitz, i cui genitori avevamo origini croate, aveva cominciato la sua carriera in Unilever, passando poi alla Procter & Gamble a vendere creme, dentifrici e shampoo. Quando, per battere il jet lag in Thailandia, ha aperto una lattina di Krating Daeng il suo mondo è cambiato. Questo almeno racconta la leggenda, perché una versione ufficiale non esiste. O ne esistono almeno un paio. La bibita spopolava tra i camionisti e tra chi non voleva rischiare una botta di sonno. A quel punto con il socio thailandese che aveva in portafoglio la bevanda, ha fondato la nuova società: 500 mila dollari a testa e la sfida è partita. Il primo aprile 1987 la prima lattina di Red Bull è arrivata sul mercato austriaco. Conquistarlo non è stato facile. Nessuno la voleva. Molti paesi la ostacolavano perché conteneva troppa caffeina, anche in Italia per un periodo non la vendevano ai minori. Mateschitz ha cominciato a battere gli autogrill porta a porta con le sue lattine strette e lunghe. Oggi è tra i 100 uomini più ricchi al mondo.
Mateschitz ha quindi investito massicciamente in ogni tipo di sport. Ha cominciato con sci, surf e windsurf, poi è passato dai tuffi dalle grandi altezze di Polignano a Mare ai salti nel vuoto di Felix Baumgartner, il primo uomo a infrangere la velocità del suono (1.110 km/h) al di fuori di un veicolo. Dalla Red Bull BC One E-Battle che è la più grande competizione online di breaking one-on-one del mondo al Crankworx World Tour che è una specie di festival della mountain bike. E poi hockey su ghiaccio, skateboard e calcio, tanto calcio, in Austria, negli Stati Uniti, in Brasile, in Africa (unico caso di fallimento) con scudetti a ripetizione e una squadra come il Lipsia salita dalla quinta divisione alla Champions League.
Ha cominciato con il Trap a Salisburgo, è arrivato fino a Rangnick e Nagelsmann. Ha messo sotto contratto belle facce come Gigio Donnarumma e Matteo Berrettini, Dorothea Wierer e Larissa Iapichino. Ha investito sulle moto seguendo un certo Marc Marquez, ma anche Dovizioso e colorando la KTM, ma il colpo vero lo ha fatto in Formula 1 dove ha già conquistato 8 titoli mondiali, battendo chi le automobili le fabbrica per vivere. Ha rilevato due squadre, trasformando la Jaguar in Red Bull e la gloriosa Minardi in Toro Rosso (e poi in Alpha Tauri). Ha scoperto giovani talenti, ha rivoluzionato la comunicazione con una sua tv e pubblicandosi una rivista, ha portato nel paddock una ventata di gioventù e dei motorhome formato grattacielo. Si è comportato in Formula 1 e nello sport in generale come ha fatto con i suoi drink energetici nel mondo delle bevande, inventandosi una nuova categoria merceologica e invadendo 170 paesi con un brand oggi valutato più di 10 miliardi di dollari.
Il primo pilota ad avere un contratto Red Bull è stato Gerhard Berger che all’inizio della carriera, ancora prima di arrivare in Ferrari, scoprì di avere in Mateschitz un suo tifoso: “Ero al Gran premio d’Austria. Non avevo un soldo, ero al verde, potevo a malapena comprare un biglietto del treno per il Gran premio. Poi nel paddock mi trovo davanti questo signore sulla quarantina e mi dice: “Ciao, il mio nome è Mr. Mateschitz, sono un tuo grande fan e vorrei sponsorizzarti. Ho solo un piccolo problema: non ho soldi”. E allora gli ho risposto: “Benvenuto nel club, siamo in due”. Poi non ci ho pensato, volevo solo tornare in macchina e dimenticare. Ma tra di noi c’era una buona chimica, quindi siamo andati a prendere una birra poco dopo. Abbiamo parlato di sponsorizzazione e di un piccolo accordo di circa 10.000 dollari. Pochi mesi dopo quell’incontro ho ricevuto una chiamata di Mateschitz, che mi diceva ‘Sono io, ho la mia azienda ora, il nostro accordo è ancora valido?’. E così è iniziata la storia della Red Bull in Formula 1”. Poi è arrivata la sponsorizzazione della Sauber e quindi nel 2004 l’acquisto della Jaguar.
“Red Bull non è solo una bevanda gasata, è una filosofia. Noi crediamo nell’individualità, odiamo il conformismo, crediamo nel coraggio civile”, ha detto in una delle rare interviste concesse qualche anno fa all’Independent, quando parlò anche delle sue fonti di ispirazione: “Per la mia generazione (Mr. Red Bull è nato il 20 maggio 1944, ndr) Il Gabbiano Jonathan Livingston è stato un libro di culto, ma mi lascio influenzare anche da chi quando ero un ragazzo faceva parapendio con la musica nelle orecchie. E mi hanno influenzato anche le idee di un filosofo come Viktor Frankl, sopravvissuto dei campi di concentramento e uno fra i fondatori dell’analisi esistenziale e della logoterapia. Mi ha insegnato a trovare la mia strada”. L’impressione è che l’abbia trovata. Si è inventato (con la collaborazione di Helmut Marko) Vettel e Ricciardo e oggi si sta godendo insieme a tanti altri appassionati, Max Verstappen. Le ali sa davvero dove metterle.