Matteo Berrettini è in semifinale a Wimbledon. Ora basta nostalgia del tennis degli anni Settanta
Nell’era open mai un italiano era arrivato così lontano sull’erba. Venerdì incontrerà Hubert Hurkacz, che ha sconfitto a sorpresa Roger Federer
Mancava il numero dieci, si diceva. Un pensiero rivolto alla nazionale di Roberto Mancini, ma anche agli italiani del tennis. Il fuoriclasse, quello che arriva fino in fondo, l’avversario da battere. Fino a due settimane fa l’Italia sull’erba era forte ma non fortissima; nel giro di quattordici chilometri e di due notti magiche, è cambiato tutto. “It’s coming home”, cantano gli inglesi rivolgendosi al calcio, il football sta tornando a casa. Sì, ma in quella casa ci siamo anche noi. A Wembley e a Wimbledon. Nelle due cattedrali del tennis made in Uk. Matteo Berrettini è in semifinale ai Championships, il torneo più prestigioso del mondo, per la prima volta in carriera e riscrive la storia del tennis ancora una volta. Nell’era open mai un italiano era arrivato così lontano sull’erba, ci era riuscito Nicola Pietrangeli nel 1961, quando i gesti bianchi erano uno sport in bianco e nero. Berrettini, attualmente numero nove del ranking, dopo il successo al Queen’s prosegue la sua striscia positiva sull’erba, facendo salire a dieci le vittorie consecutive su questa superficie. Mercoledì sera ha battuto in quattro set il giovane Felix Auger Aliassime. Venerdì incontrerà Hubert Hurkacz, che ha sconfitto a sorpresa Roger Federer.
Si è fatta la storia d’Italia in queste due settimane a Londra, e in questo doppio campo di gioco e in questo cambio palla tra tennis e calcio ha ragione per entrambi Federico Chiesa quando dice che a Londra si sta giocando per sessanta milioni di italiani, che si meritano di tornare a sorridere e a commuoversi grazie allo sport. Che cosa ha Matteo Berrettini meno di un fuoriclasse? Semifinale agli Us Open nel 2019, Quarti di finale a Parigi poche settimane fa, semifinale a Wimbledon appena raggiunta. “E’ quello che non si fila nessuno”, ha fatto notare il suo coach Vincenzo Santopadre, senza polemica, ma dicendo il vero: “Abbiamo un top 10 qui, nel presente, ma non siamo mai contenti. Matteo dovrebbe ricevere più rispetto”. Ha ragione lui, in silenzio, senza copertine, è quello che arriva fino in fondo nei tornei. Oggi è settimo nella race e ripercorrendo la sua carriera si legge che due anni fa era il numero 81 al mondo, 3 anni fa il numero 236, 5 anni fa era il numero 500 e oltre; sono pochi i suoi colleghi che hanno avuto una progressione simile.
Berrettini è qui e ora, non c’è niente da aspettare, nessuna next gen e nessuna speranza azzurra, è presente. E forse è arrivato il momento di smettere di parlare con nostalgia di Pietrangeli, Panatta e degli italiani che negli anni Settanta hanno fatto la storia. La storia è sta accadendo in questo momento, sono stati in molti gli italiani che negli scorsi anni ci hanno fatto credere di poter arrivare ad alti livelli, Marco Cecchinato, Fabio Fognini, Jannik Sinner, Berrettini è l’unico che ci sta facendo capire che in alto possiamo rimanerci.