Euro 2020
L'Europeo che esalta Donnarumma e cancella Pickford
Italia-Inghilterra oltre che la finale degli Europei di calcio è stato un compendio di quello che vuol dire indossare i guantoni e di come esistano due modi diversi di farlo, due mondi che sembrano diversissimi e incomparabili
Va sempre a finire così. E da sempre. L’Europeo di calcio è quel torneo che toglie i portieri dai confini della porta e li erge a prìncipi della competizione. L’Italia ha conquistato la coppa giocando bene e all’attacco, benedicendo però le parate di Gianluigi Donnarumma. Quelle nei novanta minuti regolamentari che hanno agevolato il cammino sino alla semifinale (soprattutto contro l’Austria), quelle che hanno fermato i rigoristi avversari in semifinale e in finale. Miglior portiere del torneo e miglior giocatore della competizione. Era successo con Lev Yashin (1960), Evgenij Rudakov (1972), Ivo Viktor (1976) – premi non ufficiali – e Peter Schmeichel (1992), è ricapitato quest’anno.
Italia-Inghilterra oltre che la finale degli Europei di calcio è stato un compendio di quello che vuol dire indossare i guantoni e di come esistano due modi diversi di farlo, due mondi che sembrano diversissimi e incomparabili. Da una parte Jordan Pickford e chi ha creduto alle favole, dall’altra Gianluigi Donnarumma e chi questa non se l’è davvero filata.
Tutto parte da una boutade, vecchia quasi come il calcio. Uno scherzetto di William George, estremo difensivo dell’Aston Villa a cavallo tra Ottocento e Novecento. Disse in giro che la cicatrice che aveva sul cranio era conseguenza di un’operazione per curarlo dalla follia e che l’unica cosa di pazzo che gli era rimasto era fare il portiere. Qualcuno si convinse a tal punto di tutto questo che iniziò a costruirci su teorie ed elucubrazioni arrivate sino a noi, sino alla linea della porta sulla quale si è decisa ai rigori la finale di Euro 2020.
Vecchia storia quella che serva essere un po’ matti per fare il portiere. Luogo comune antico che però un fondo di verità ce l’ha. Un po’ perché decidere di usare le mani in un gioco dove i piedi sono gli assoluti protagonisti è una forma di rivolta all’ordine prestabilito; un po’ perché si deve essere mica del tutto a posto a scegliere un ruolo per il quale è richiesta soltanto la perfezione e ogni minimo errore si trasforma in tragedia; un po’ perché si diventa il Babau che nega ai tifosi avversari la più agognata delle libidini calcistiche, la gioia del gol.
Un bel racconto rende più interessante la narrativa che altrimenti sarebbe una lista di attributi necessari: riflessi, capacità di leggere l’azione avversaria, struttura fisica, esplosività, capacità di assumersi responsabilità. In due parole: fisico e razionalità.
La favola aiuta a reclutare nuovi adepti e qualcuno va a finire che ci crede davvero. Jordan Pickford in questo Europeo ha parato tanto e bene. Qualche errore lo ha commesso, molte volte ha strappato oooh al pubblico, applausi a scena aperta in diretta, qualche dubbio a vedere i replay. Il calcio è però sport che dovrebbe vivere di solo presente.
Pickford è un po’ sghembo, un po’ scoordinato, sembra che si muova sempre in un ritardo atavico, ma quasi sempre arriva alla palla, la smanaccia, la toglie dalla porta. E’ un balzo continuo, un movimento incessante. Gli occhi degli spettatori si posano su di lui, è impossibile non farlo.
Disse Gordon Banks, forse il numero uno più forte della storia del calcio inglese, che il ruolo del portiere è sempre stato semplice: “Basta parare”. Ma che “la tv ha imposto che l’utile debba essere anche bello. I numeri uno sono sempre meno portieri e sempre più giullari. Spero diminuiscano gli anchorman”.
Pickford è un giullare meraviglioso, di quelli che ancora si attengono all’arte antica dell’intrattenimento. E’ un paratore da spettacolo, c’è nulla di male in questo, basta saperlo fare e lui lo sa fare. I suoi balletti sulla linea di porta hanno distratto e infastidito. L’immobilità di Donnarumma ha ghiacciato. Hanno parato lo stesso numero di rigori, ma quelli dell’ex portiere del Milan sembrano in più. In fondo c’è nulla da stupirsi. Alle favole a un certo punto si smette di credere e resta la realtà. Quella fatta di fisico e razionalità.