Una perfetta affinità di coppia. L'Europeo di Mancini e Vialli
"Per avere la migliore coppia d’attacco non servono i due attaccanti più forti, ma due uomini capaci di ragionare assieme, di essere l’uno compimento dell’altro”, disse Boskov, l'allenatore dello scudetto della Samp. I due hanno continuato a esserlo anche fuori dal campo
Al termine della Serie A 1988/1989 Vujadin Boskov, intervistato dalla Gazzetta dello sport, si soffermò sull’ottima stagione della sua Sampdoria: quinto posto in campionato e vittoria, la seconda consecutiva, della Coppa Italia. E su quella dei suoi due attaccanti titolari: 33 gol per Gianluca Vialli e 14 per Roberto Mancini. “Non ho i due attaccanti più forte del campionato, ma ho la migliore coppia d’attacco della Serie A”. Quando gli chiesero di spiegarsi meglio, l’allenatore, che due stagioni dopo condusse i doriani al loro primo e unico scudetto, disse: “Nel calcio c’è la qualità dei singoli e l’alchimia di squadra. In questo caso trascinata dall’affinità di coppia. Per avere la migliore coppia d’attacco non serve avere i due attaccanti più forti, serve avere due uomini capac di giocare assieme, di ragionare in due, di essere l’uno l’esatto compimento dell’altro”.
Roberto Mancini e Gianluca Vialli lo furono in campo nelle stagioni doriane, hanno continuato a esserlo fuori, al timone di una Nazionale italiana che il ct ha preso per risollevarla da uno dei punti più bassi mai toccati, la non qualificazione ai Mondiali del 2018, e l'ha portata sino alla vittoria dell'Europeo.
L’inizio di Mancini in Azzurro fu incerto, non poteva essere altrimenti. Tre vittorie, quattro pareggi e due sconfitte nel primo anno, prima di iniziare il filotto di vittorie nelle qualificazioni a Euro 2020. Buone prestazioni, tanti gol, parecchie partite finite tanto a poco. L’Italia iniziava a giocare bene, sempre meglio, ma c’era qualcosa che continuava a non andare, qualcosa che non riusciva a tranquillizzare il ct, sempre ondivago tra sprazzi di gioia e una tensione latente e visibile in occhi non completamente soddisfatti.
Poi nel novembre del 2019 la Federazione decise di nominare Gianluca Vialli capo delegazione della nazionale italiana.
Una nomina che ebbe un immediato riflesso in campo, o meglio a bordo campo. Mancini sembrava cambiato, era molto meno teso, in panchina era tornato a sembrare il calciatore elegante che segnò due decadi della Serie A. E questo indipendentemente dai risultati. Le sue braccia iniziarono a muoversi meno nell’aria, la sua voce, sempre pacata, lo fu ancor di più. Il sorriso guadagnò larghezza e presenza.
Era cambiato poco o nulla rispetto qualche mese prima, eppure era cambiato tutto. La squadra era al completo. Non tanto quella in campo che lui guidava, ma quella che stava appena al di fuori della linea laterale. L’ultimo tassello era stato posto. Ad Alberico Evani (che aveva trovato già in Nazionale, ma con il quale ha trovato subito un’immediata sintonia, figlia anche degli anni doriani), Attilio Lombardo, Giulio Nuciari e Fausto Salsano (suoi storici collaboratori), si era aggiunto anche Vialli.
Mancini non cambiò niente della sua idea di calcio. Vialli non si intromise nelle scelte del ct, sapeva benissimo che non era necessario, che Mancini ascolta tutti, ma non si fa indirizzare da nessuno, che segue soltanto l'idea di calcio che ha in testa, pur sapendo intelligentemente piegarla e adattarla alla situazioni (esempio è stata la partita con la Spagna).
Disse sempre alla Gazzetta Vujadin Boskov che “Vialli ha per Mancini lo stesso effetto che Mancini ha per Vialli. Sono curativi. Litigano, discutono, a volte si mandano a quel paese, ma si calmano e aizzano a vicenda. Sono benefici l’un per l’altro”.
Valeva per il campo, vale ancora in Nazionale.
“Mancini è un leader che viene seguito dagli altri. Vialli lo è altrettanto, ma in un modo diverso. Il fatto che abbiano una gran fiducia l’uno nell’altro aumenta la fiducia di squadra. Quando questa non basta, ci penso io a sistemare le cose. L’età avanzata qualcosa di buono lo nasconde”.
Vuja Boskov non c’è più, Mancini e Vialli hanno imparato a cavarsela da soli. E l’hanno fatto molto bene. La coppa alzata sotto il cielo di Londra dagli Azzurri ne è l’ultima prova.