I genoani dicono Samp lives matter, ma a noi non frega un cazzo
A noi doriani non venite a dire che questa vittoria ci ripaga per la sconfitta del ’92, però
Non posso giurare che sia vero, mi è stato riferito, ma spero con tutto il cuore che lo sia. Carlo Stagnaro, pilastro dell’Istituto Bruno Leoni, non so se mi spiego, è stato chiamato da Mario Draghi come consigliere di prestigio della politica economica del governo. Più che bravo, Stagnaro è bravissimo. Il fatto è che è genoano. Uno di quelli duri, indisponibili anche soltanto ad ammettere l’esistenza di qualcosa che non sia il Genoa, figurarsi la Samp. Sono in molti così, tra di loro: liberi, simpatici, colti a volte, perfino estrosi, poi teste di legno inscalfibili se parlano di calcio. Non sono cattivi, non lo capiscono. Ripetono a macchinetta di aver vinto nove scudetti che nessuno ricorda essere mai stati posti in palio, e l’interlocutore fa su e giù con la testa, regolarmente, qualsiasi obiezione essendosi rivelata inutile nel corso dei decenni. Poi la cosa finisce lì.
Quanto al resto, stanno per quindici anni in serie B, tornano per un anno in A, nominano e rinominano un certo Giulio Cesare Abbadie, un coraggioso marinaio, probabilmente, o forse un vecchio sarto, poi ritornano per quindici anni in B, non danno fastidio a nessuno e la cosa finisce di nuovo. Va avanti in questo modo dal Dopoguerra. Bene. Ci sarebbe stato del clamoroso, invece, ieri. Dicono infatti che il professor Stagnaro, se poi il racconto sia vero, ripeto, non lo so, abbia passato tutta la mattinata martellando i colleghi e gli amici che questa volta, beh, questa volta non si poteva non ammettere che, senza la Sampdoria di allora, te la sognavi la Coppa Europa. E giù a snocciolare nomi. Mancini. Mancini che abbraccia Vialli. Vialli che Mancini e Lombardo. Lombardo, Evani. Evani, Salsano. Il biondissimo Salsano. I blucerchiati di inizio anni Novanta, insomma. Tutti quanti. Tutti insieme ora nello staff di Wembley. Da amici, colleghi, fratelli. Più che un riconoscimento, un omaggio, un sacro inchino: Samp lives matter.
Più che da gentleman, da fissati della caccia alla volpe: Genoa cricket and football Club, insistono a chiamarsi infatti, pur smadonnando tutto il giorno da portuali autentici. E a te, piccolo sampdoriano marginale, tornano allora i ricordi della squadra dello scudetto, quella di trent’anni orsono, delle vittorie a San Siro, a Torino o a Roma, quella del presidente Mantovani, il grande imprenditore che metteva un po’ d’acqua nelle cisterne dei combustibili fossili ben prima che la Greta Tumberg venisse a menarci il torrone (lui, però, lo volevano arrestare), il padre dei suoi ragazzi, il genio che aprì l’asta sul carico delle petroliere in mezzo al mare durante la crisi energetica del 1973, l’uomo che era stato il ferro e il cemento della struttura sportiva ma familiare, familiare ma d’assalto.
E allora ti commuovi. E pensi a quella Coppa dei Campioni persa proprio a Wembley contro il Barcellona, direi nel 1992. A quella cazzo di punizione nei supplementari. E ai cugini genoani che ne godettero come mandrilli. E a Stagnaro, quindi. Un signore, un avversario così signore da ammettere che questa nostra coppa conquistata è dovuta alla magnifica famiglia formata quella volta là, per quella perduta. E ammette, mi dicono, però non so, che la vittoria di oggi chiude finalmente il cerchio di dolore che Mancini e i suoi, i nostri, provarono e provammo allora. E una lacrima civile quindi gli scende. E a noi non ce ne frega un cazzo. Perché quei falsi di genoani, quei figli di puttana, continuano a capire troppo. Schifezze che sono. Perché a noi con la maglia da ciclisti non ce ne frega un beato accidente, di questa coppa qua. Nessun cerchio si è chiuso. Ridateci la coppa nostra, quella là, quella vera, quella con Boskov lo zingaro, razza di stagnari.