I segreti olimpici di Jury Chechi. "Ma a Tokyo mancherà il pubblico, che è fondamentale"
"Le Olimpiadi sono il massimo", dice il campione "Emozionanti e spaventose: basta un attimo a gettare quattro anni di lavoro e fatica". E sul tennista azzurro Sinner che rinuncerà ai Giochi "per concentrarsi sulla sua crescita": "Una delusione. Io non rinuncerei mai"
Con il nome di battesimo ricevuto in onore del cosmonauta russo Jury Gagarin, Chechi non poteva non volare. E lo ha fatto splendidamente, sugli anelli e nella vita. Tre olimpiadi da atleta, nove estive e tre invernali in varie vesti. Se c’è uno sportivo italiano che ama i Giochi questo è Jury Chechi, il signore degli anelli. Dominatore assoluto della sua specialità per tutti gli anni ’90, Chechi resta un innamorato dello sport (ora, a cinquantuno anni si cimenta nel calisthenics con risultati incredibili solo per chi non lo conosce bene), ma il suo cuore batte soprattutto per le Olimpiadi. “I Giochi sono il massimo – dice a Il Foglio – parteciparvi è bellissimo, è sempre la gara più emozionante di tutte”.
L’esordio per lui fu a Seul ’88. “Avevo appena diciotto anni – sottolinea – e nessuna chance di arrivare in zona medaglie. Per questo vissi quell’esperienza con grande serenità, mi divertii molto, forse anche per il fatto che all’epoca ero fidanzato con una ginnasta russa molto bella”. Quattro anni dopo, purtroppo, l’amarezza di non poter partecipare a causa di un infortunio. “Fu terribile non andare a Barcellona – ammette – ma sapevo che mi sarei ripreso alla grande e che mi sarei guadagnato la possibilità di rifarmi”. E così fu. Jury arrivò ad Atlanta ’96 in una condizione clamorosa. Sapeva di essere il migliore e lo dimostrò. “Anche se la paura di rovinare tutto c’era”, ci dice. “Ero preparatissimo, concentrato, consapevole – dice – ma prima di salire in pedana ero molto teso, basta un attimo a gettare quattro anni di lavoro e fatica”.
Ma i campioni lo sono anche nel sapersi gestire. “Riuscii a fare una cosa molto difficile – spiega – cancellai la paura e decisi di affrontare la sfida con serenità. Detto così sembra facile, ma vi assicuro che non lo è”. Chechi ci svela il segreto. “Dissi a me stesso che non poteva andare male, che avevo fatto di tutto ed ero pronto a vincere. Perché dovevo aver paura?”. La presentazione fu esemplare, perfetta. E fu medaglia d’oro. “Capii immediatamente di aver vinto – sottolinea – appena feci la chiusura. Quando atterrai fu un sollievo enorme, era finita. E noi sportivi sappiamo perfettamente come siamo andati”.
Ora, seguirà le Olimpiadi di Tokyo in tv ed è dispiaciuto che non ci sarà il pubblico. “Per un atleta è fondamentale, anche se siamo dei professionisti e quindi dobbiamo dare il meglio in ogni condizione”.
C’è qualcuno però, che a Tokyo non ci andrà. E non per infortunio, come accadde a Jury nel 1996, ma per scelta. “Ognuno è ovviamente libero di fare ciò che vuole – continua Chechi – ma secondo me è un grande errore. Io non rinuncerei mai a partecipare ad un’Olimpiade per prepararmi meglio a un altro impegno agonistico”. Tra chi ha detto no, c’è il tennista Jannik Sinner, l’astro nascente azzurro di San Candido. “Non lo conosco personalmente, ma questa sua decisione mi ha molto deluso”. Jury non avrebbe mai rinunciato, è un uomo che vola alto.