Il Foglio sportivo
Alla ricerca della schiacciata vincente
La pallavolo azzurra ha atteso con pazienza questi Giochi, e adesso il momento sembra quello giusto
“Sapete cosa farei io, con voi giapponesi?”, domandò una volta Julio Velasco, il commissario tecnico della Nazionale di pallavolo più forte di tutti i tempi. Era l’autunno 1995 e Velasco ormai era abituato a essere trattato da santone: quest’aura di intoccabilità sportiva vellicava volentieri la sua vanità, che come da copione è il debole di tutti i grandi uomini di potere e comunicazione. I giapponesi lo guardavano adoranti, cercando di rubargli chissà quale segreto, così come le ragazzine tempestavano di lettere ingenue i nostri fenomenali colossi, Zorzi Papi Giani Gardini Cantagalli Bernardi eccetera. Velasco era stato colpito dal dettaglio di un giocatore, un tale Minami, che durante una partita era finito in tilt dopo che gli era accidentalmente uscito il tallone dalla scarpa: non aveva saputo trovare una soluzione in fretta e il suo disagio era costato tanti punti alla sua squadra. “Se fossi il ct di voi giapponesi, sapete come farei le convocazioni? Vi lascerei in giro nella confusione di Napoli: chi ne esce fuori è titolare”.
Nulla di tutto questo vedranno le nostre due Nazionali di volley, appena alzeranno gli occhi verso il soffitto della splendida Ariake Arena, gioiello da 15 mila posti inaugurato con sfortunato tempismo il 2 febbraio 2020, 24 ore prima che in Giappone entrassero in vigore le prime restrizioni per i voli verso la provincia cinese di Hubei: da lì in poi, un piano inclinato. Armandosi di tutta la filosofia orientale che poteva infilare nel bagaglio a mano, la nostra pallavolo ha atteso con pazienza il momento e adesso le sembra quello giusto, anche galvanizzata da quest’estate italiana che sembra strizzare l’occhio alle imprese grandi e impreviste. Bisogna ricordare che le due metà del nostro volley hanno sviluppato nei decenni modi diversi e sempre coerenti di mancare l’appuntamento con l’oro olimpico: i maschi andandoci sempre vicino, in uno sfinente petting con il gradino più alto del podio che da Atlanta ’96 a oggi li ha visti sempre in semifinale, ma mai campioni; le donne invece auto-infliggendosi dei bidoni leggendari, disastri su larga scala, macigni che hanno sollevato tsunami di polemiche, come il naufragio di Rio 2016 in cui persero le prime quattro partite e andarono a casa ai gironi. A Tokyo arrivano a braccetto non solo idealmente: sia i ragazzi di Chicco Blengini (al passo d’addio, sarà sostituito da De Giorgi dopo i Giochi) che le ragazze di Davide Mazzanti hanno fondatissime chance di medaglia, ma a un certo punto i cammini si separeranno.
Prima le donne. Della formidabile Paola Egonu avrete sicuramente letto molto, forse troppo: qui basta dire che è la pallavolista più forte del mondo, definizione che non sentiamo spesso verso un atleta italiano di un grande sport. L’energia egonica muove una squadra molto giovane ma di livello inequivocabile, vice-campione del mondo in carica, con punte di diamante come Miriam Sylla, il fortissimo libero Monica De Gennaro o le due centrali Cristina Chirichella e Raphaela Folie, flagellata da tanti infortuni negli ultimi anni. Così spavalda e sorridente, Paoletta – che con il suo club, l’Imoco Volley di Conegliano Veneto, non perde una partita dal dicembre 2019 – è il maestoso coperchio che protegge un gruppo entusiasta ma ancora inconsapevole dell’enormità della pressione che le coglierà nel pentolone olimpico, anche a causa di un girone molto difficile con almeno altre quattro pretendenti al podio come Cina, Russia, USA e Turchia, che però potrebbe semplificare il cammino a eliminazione diretta.
Se per natura e per gioco mediatico le ragazze non potranno procedere troppo a lungo a fari spenti, questo è un lusso che potranno permettersi i maschi. Intervistato l’altro giorno dalla Gazzetta dello Sport, lo zar Ivan Zaytsev ha evocato il cliché della Last Dance dei Chicago Bulls e poi ha osservato con malcelata ironia: “Le ragazze sono ambiziose, per loro si è esposto anche Malagò. Noi uomini siamo dei vecchietti attempati e le accompagneremo ai Giochi”. L’ultimo grande torneo dell’Italia maschile, il Mondiale organizzato in casa nel 2018, si risolse nell’amarezza di un sesto posto. Ma la scorza c’è ancora, eccome: Giannelli, Juantorena, ovviamente lo stesso Zaytsev, con new entry come l’enfant prodige Alessandro Michieletto titolare a Trento, finalista di Champions.
E la voglia di infilarsi senza rumore, aiutata dal silenzio dominante di quest’Olimpiade nella Bolla, nelle piccole smagliature delle favorite: Polonia e Brasile schiacciano da un altro pianeta, ma tutte le altre – l’arrugginito Team USA, l’inaffidabile Francia, la noiosa Russia – sembrano alla portata. Attenzione, però: queste sono valutazioni razionali, anche un po’ banali se vogliamo, quasi certamente pronte a saltare in aria nello scompaginamento dei sensi e dei pensieri che è tipico di un’Olimpiade, specialmente di un’Olimpiade sostanzialmente post-bellica come questa. Ancora più spoglie e mortificate dalle rigidissime misure di sicurezza, le strade di Tokyo non saranno quelle di Napoli. L’Italia è lontana con il suo disordine e il suo calore, in un’edizione che sembra avere un valore solo per chi non la organizza. Nei Giochi del Grande Silenzio, ideale fin troppo nipponico destinato all’esasperazione nelle prossime due settimane, servirà il rumore della leggerezza.