Tokyo 2020
Ragioni per essere orgogliosi anche di queste Olimpiadi
Nascondersi non ha senso. Uno sponsor che, ora, nel momento difficile, aumentasse il suo impegno e il suo sostegno, acquisirebbe qualcosa in più nella percezione pubblica. Sarebbe il salvatore dei Giochi
Nelle gare olimpiche è bene impegnarsi per vincere, nelle sponsorizzazioni bisogna partecipare. E non con riluttanza, mezzi dentro e mezzi fuori, ma con convinzione. Gli sponsor olimpici che, ora, tentano di nascondere un po’ il loro marchio dalle inquadrature dei Giochi, non mandano sugli spalti i loro massimi dirigenti, fanno i vaghi nelle pubblicità a supporto dell’investimento sportivo, rischiano di fare un grave errore e di buttare via il patrimonio di credibilità creato in anni e anni di sostegno delle competizioni. Lo stanno facendo la Toyota e Fujitsu, insieme a Meji Holdings, Asahi group e Nippon Life Insurance, con l’aggravante di rifiutare l’aiuto nel momento difficile ai propri connazionali e al proprio governo, e decisioni simili le hanno prese Nec, Ntt, Bridgestone.
Ma la freddezza è diffusa, e nessuno, almeno per ora, rischia di associare l’azienda a Olimpiadi così segnate dalla sfortuna. Le sponsorizzazioni olimpiche, però, non sono semplicemente pubblicità. Si conquistano, pagando anche molto, un posto tra i marchi cui associare le gare nelle varie discipline, in stadi privi di cartellonistica pubblicitaria, per dire che si è parte di un grande impegno mondiale, collettivo, di un movimento sportivo che supera i singoli paesi, che parla a tutti, che trascina tutto lo sport e lo stimola, anche tra un’Olimpiade e l’altra. Se questi sono gli obiettivi di una sponsorizzazione olimpica bisogna esserne all’altezza. Mostrare che si è legati a quel grande impegno nella buona e nella cattiva sorte. Non si sta, semplicemente, sostenendo, per fare un esempio, una singola squadra di calcio. In quel caso, certo, l’investimento pubblicitario è legato anche ai risultati, e, ancora di più, alla reputazione di quella squadra. Comportamenti scorretti della società sportiva potrebbe essere causa anche di rescissione del contratto, ma basterebbe anche meno perché lo sponsor decida di ritrarsi, e a pieno titolo. Con le Olimpiadi è diverso, perché gli sponsor stanno sostenendo tutto il movimento sportivo mondiale. Il tifo negli stadi durante le gare olimpiche è diverso. Tutti sono mischiati, le bandiere sono assortite, la felicità di chi sostiene un atleta o una squadra vincenti si stempera nella condivisione olimpica, si mischia con la delusione degli sconfitti e poi va subito a confondersi, ulteriormente, con altre gare e altri risultati.
Allora, mollare tutto quando si avverte il rischio di malaparata è esattamente il contrario non solo di ciò che potrebbe sembrare eticamente corretto ma anche della convenienza reputazionale e commerciale. Uno sponsor che, ora, nel momento difficile, aumentasse il suo impegno, almeno nella visibilità, e il suo sostegno, acquisirebbe qualcosa in più nella percezione pubblica. Sarebbe il salvatore dei Giochi, che ha permesso al mondo di continuare l’avventura olimpica senza fermarsi neanche davanti a un dramma collettivo come la pandemia. In cambio, poi, di quale rischio? Le gare si faranno, ormai si è capito, anche prendendo atto di qualche defezione, di qualche atleta costretto a stare in isolamento. Il resto è considerato normale in tempi come questi, nessuno si stupisce. Gli stadi vuoti non impressionano nessuno, anche perché le Olimpiadi sono di chi gareggia e non del pubblico presente. E sono un evento televisivo. Basterà far bene le inquadrature e tutto funzionerà. E allora sarà chiaro che lo sponsor riluttante avrà perso un’occasione per segnare, con la sua presenza e il suo peso, un momento di speranza e di ripresa.