il nuovo che avanza
L'Italia che verrà. Le seconde generazioni che puntano alla Nazionale
Sono nati negli anni duemila e hanno genitori nigeriani, macedoni, camerunensi, ivoriani, kosovari e senegalesi. Oggi giocano nelle selezioni giovanili, sognando Qatar 2022. Ecco chi sono i giovanissimi talenti del calcio italiano
Il settimanale inglese The Economist l’ha fatto a caldo, quando la sconfitta subita a Wembley dall’Italia faceva più male, ma non è detto che con il tempo ne faccia di meno: la Nazionale italiana non ha giocatori neri, ma solamente oriundi brasiliani, citando un po’ a casaccio la nostra normativa sull’ottenimento della cittadinanza; cosa che fa specie per un giornale considerato uno degli ultimi ‘fortini’ del giornalismo serio e documentato. Però ha posto una questione che abbiamo voluto approfondire, memori di un passato non troppo edificante, e non parliamo solo dei cori contro Mario Balotelli, sicuramente il calciatore nero più forte ad avere vestito la maglia dell’Italia. Il primo è stato Joseph Dayo Oshadogan, famoso per la sua diatriba sindacale con la Ternana, padre nigeriano e madre ligure, che ha esordito con l’Under 21 di Cesare Maldini: “Volevo giocare per la Nazionale italiana e ci sono riuscito. Nel ’93 fui convocato dalla Nigeria, ma dissi di no. Sono nato in Italia e sono italiano. Avevo 20 anni, dopo l’esperienza in Nazionale tornai a Foggia e trovai la scritta ‘n**’ sopra la lavagna, nello spogliatoio. Fu davvero spiacevole”.
Paolo Scotti, ex giocatore di Triestina, Arezzo e Salernitana, oggi agente Fifa spiega al Foglio: “Quando tratto calciatori stranieri capita che mi chiedano com’è la situazione in Italia, perché certi episodi diventano virali. Il problema vero, però, è l’ottenimento della cittadinanza, avevo un ragazzo rumeno che alla fine ha scelto di giocatore per le rappresentative del Paese di origine perché non aveva il passaporto”. In Italia abbiamo lo ius soli sportivo che permette ai minori stranieri di fare sport, ma non dà la possibilità di essere inseriti nelle selezioni nazionali, per le quali è necessario avere la cittadinanza. Questa si può ottenere se i genitori stranieri l’hanno ottenuta a loro volta, estendendola quindi al minore nato nel nostro Paese. Poi ci sono le regole delle federazioni internazionali che negli ultimi anni sono diventate più restrittive a causa delle naturalizzazioni facili nei vari sport, tipo l’atletica leggera.
Restando al calcio, dopo Oshadogan, in Nazionale, è stata la volta di Fabio Liverani, Matteo Ferrari e Mario Balotelli, mentre Angelo Ogbonna e Moise Kean sono rimasti scornati dalla mancata convocazione all’Europeo da parte di Roberto Mancini; scelte sportive sulle quali, risultati alla mano, c’è poco o niente da eccepire. In Italia, al momento, di giocatori appartenenti alle cosiddette seconde generazioni ne abbiamo diversi nelle rappresentative giovanili. Alcuni dei più famosi? Memeh Caleb Okoli (2001, Under 19, Atalanta), Destiny Udogie (2002, Under 19, Udinese), Nikola Sekulov (2002, Under 18, Juventus U23), Franco Daryl Tongya Heubang (2002, Under 19, O. Marsiglia II), Stephane Henoc N’Gbesso (2003, Under 18, Milan U18), Auron Vranovci (2002, Under 19, Cittadella U19), Wilfried Gnonto (2003, Under 18, Zurigo), Cher Ndour (2004, Under 16, Benfica B). I genitori? Nigeriani, macedoni, camerunensi, ivoriani, kosovari e senegalesi. Loro? Italiani.
Naturalmente, come prevedono le regole Fifa, finché non esordiranno nella Nazionale maggiore possono sempre tenersi il diritto di scegliere quella di origine, nel frattempo rappresentano il nuovo che avanza in un paese che fatica a guardarsi allo specchio e accettarsi diverso. Altri lo hanno già fatto, mentre fa specie che ragazzi così giovani giochino già all’estero, come per esempio Franco Daryl Tongya Heubang, Wilfried Gnonto e Cher Ndour: “A sedici anni puoi firmare il primo contratto da professionista. In Italia molti club ti offrono il minimo federale per tre anni e allora qualche club straniero paga il premio formazione e propone contratti da 50-60mila euro l’anno, pagando pure l’agente. Operazioni onerose che permettono al giocatore di misurarsi subito con i grandi, tipo Cher Ndour al Benfica, o di essere titolare in Prima squadra, come Wilfried Gnonto allo Zurigo, lui cresciuto nel settore giovanile dell’Inter: non credo che in nerazzurro avrebbe avuto le stesse opportunità. C’è da dire che molti ragazzi italiani che, per esempio, hanno tentato l’avventura in Inghilterra sono tornati indietro: vuoi per mancanza di mentalità, vuoi perché l’accoglienza non è quella che molti credono”, sottolinea Paolo Scotti.
Al 1° gennaio 2019 gli stranieri in Italia erano 4.996.158, cioè l’8,4 per cento della popolazione residente. Questo significa che per essere rappresentati ci dovrebbero essere dai due ai tre giocatori, di origini straniere, su ventisei convocati. Sicuramente Ogbonna non vale i centrali che hanno vinto l’Europeo, forse Kean meritava qualche attenzione in più, magari l’avrà in vista di Qatar 2022. Con Balotelli ci si è sempre nascosti dietro il suo carattere e la Nazionale italiana è ancora ferma agli oriundi, un fenomeno che da una parte ha radici antiche, anni Sessanta, dall’altra è espressione di un calcio dove il giocatore comunitario fa gola per la possibilità di tesserarlo senza ingolfare lo slot per gli stranieri. In attesa dei nuovi italiani, che tanto nuovi non sono.