Antistar in vasca. Il nuoto a Tokyo 2020 fugge dal divismo
Ariarne Titmus, Emma McKeon e Caeleb Dressel sono stati i grandi protagonisti della prima settimana dei Giochi olimpici. Per l'Italia buoni risultati, ma c'è ancora molto lavoro da fare (aspettando i 10 km di Paltrinieri)
Le luci dell’Aquatics Center di Tokyo si sono spente assieme al weekend, ed è tempo di bilanci per il nuoto olimpico in piscina, padrone della prima settimana di gare. Trentacinque i titoli assegnati, con dominio statunitense (undici ori, dieci argenti e nove bronzi), il record di Tatjana Schoenmaker nei 200 rana e l’exploit del diciottenne tunisino Hafnaoui nei 400 stile libero: se Adam Peaty porta a casa la prevista primazia nei 100 rana oltre all’inedita staffetta ambigenere, Katie Ledecky si conferma imbattibile nelle lunghe distanze con la doppietta negli 800 e 1500 sl. In particolare, nella gara più corta, stellare il confronto con l’azzurra Simona Quadarella e con l’australiana Ariarne Titmus, che con due primi posti, un secondo e un terzo si mette al collo l’intera gamma dei metalli olimpici. Sempre down under vive Emma McKeon, la regina dei Giochi nella vasca al femminile: così come Caeleb Dressel (ben cinque trionfi tra libero e farfalla) è l’indiscusso dominatore tra i maschi, la 27enne di Wollogong ha spazzolato più oro che poteva, con quattro successi e tre gradini più bassi del podio.
Da che è Olimpiade, ogni edizione mette in mostra - o conferma - almeno una star assoluta nella disciplina dell’acqua: i cinque cerchi non sarebbero stati la stessa cosa, storicamente, senza i sette ori di Spitz a Monaco, il rincorrersi fra Thorpe e Phelps, o le prove di forza di Kristin Otto. Stavolta niente ossessioni né compiacimenti da telecamera (tutti per il commiato di Federica Pellegrini) tra i primattori: sommate al palmares di Rio 2016, le vittorie della McKeon rappresentano il massimo numerico personale per una tradizione, quella australiana, che ancora una volta ha conteso efficacemente la piscina agli americani. Infatti anche la ventenne tasmaniana Titmus, che ha saputo sovvertire il pronostico dei 400 sl sopravanzando la Ledecky, è andata al di là delle ambizioni di partenza, ma sempre senza strepiti. Quelli li ha lasciati tutti al suo allenatore, Dean Boxall, scatenato in tribuna ad attirare con intelligenza le attenzioni su di sé: poco più sotto, in corsia, Titmus – figlia di un giornalista tv - ha confermato l’oro mondiale di Gwanju coprendo lo spazio in 3’56”69. Niente male per una che, a un mese dal via, aveva sfiorato il record mondiale della Divina nei 200, mancandolo per soli 11 centesimi. E, data l’età, il futuro si annuncia roseo.
Dal canto suo, il tatuatissimo Dressel sfugge al paragone coi grandi del passato incamerando gli ori previsti nello stile libero (50 e 100), nei 100 farfalla - con record del mondo a 49”45 - e contribuendo notevolmente alle staffette.
A quasi 25 anni l’atleta della Florida ha inciso sulla propria pelle il simbolo olimpico in virtù di una nuotata potente e precisa, concentrata ed entusiasmante, in grado di fare il vuoto tra i pur accreditati avversari. Unico vezzo, la bandana blu che porta sempre con sé e con la quale si presenta alle soglie dell’acqua: dono del marito della sua ultima allenatrice, Claire McCool, scomparsa per un cancro al seno nel 2017. "L’ho vista nel letto di morte – ha dichiarato il campione - ed era ancora la donna più forte che avessi mai incontrato. Non c’è niente che significhi di più di quel nastro, sarà con me fino alla fine della mia carriera", reciterà la biopic del cannibale, un gigante buono dal sorprendente lato umano, lontano dalle spacconate caratteriali e dalle pubblicità degli shampoo. Ogni riferimento a chi ha monopolizzato l’attenzione azzurra sotto la cuffia non può essere casuale, anche a coprire la parziale delusione per i due argenti e quattro bronzi, e in attesa del riscatto promesso da Paltrinieri nei 10 km di nuoto in mare. Al CONI ci sarà tempo e modo per analizzare lo status quo, al ritorno dell’intera spedizione dal Giappone, ma queste anomale Olimpiadi dispari dicono che Parigi dista “solo” tre anni: come testimoniano gli atleti, occorre lavorare da subito per tornare ad appellarsi, anche nel nuoto, alle medaglie che pesano e non a quelle che si contano.