L'argento di Vanessa Ferrari a Tokyo 2020 vale tutti gli ori del mondo
A quasi 31 anni, alla sua quarta Olimpiade, dopo infortuni terribili e due quarti posti la ginnasta italiana sale finalmente sul podio
Chissà se l’argento laverà via tutto o lascerà l’ultimo segno sulla pelle. Forse entrambe, perché no: i cerchi olimpici e le tre edizioni maledette – Pechino 2008, Londra 2012, Rio 2016 – Vanessa Ferrari se li era addirittura tatuati, come a mettere fiato sul collo, voglia di lasciarli alle spalle dopo quattordici anni di calvari fisici, batoste dalle giurie, quarti posti beffa. L’ostinazione in comune con Jacobs e Tamberi: aveva pensato anche al ritiro e tutti in fondo l’avrebbero capita. A Tokyo 2020 però tutto è finito davvero alle spalle, perché è arrivata la prima medaglia olimpica a 30 anni e 8 mesi. Che per una ginnasta equivalgono a un calciatore di 45, o anche più a sentire Simone Biles, la regina in sospeso, grande assente dell’ultimo atto.
Poco male se anche nella giornata perfetta non è arrivato il gradino più alto del podio. Jade Carey, classe 2000 di Phoenix, sfodera una prestazione magistrale – alla faccia di chi diceva che Team Usa fosse in tilt –, da 14,366. Vanessa Ferrari vince per pathos, interpretazione ed esecuzione, 8,300 contro gli 8,066 dell’americana. Il coefficiente più alto di Carey però manda oltreoceano l’oro. La ginnastica artistica ha le sue regole. L’Olimpiade della Farfalla di Orzinuovi – la carriera? “No, ci riproveremo a Parigi”, ha detto subito il ct Enrico Casella – si scioglie nell’alchimia di ‘Con te partirò’, 90 secondi in cui si è potuto leggere tutto quello che aveva passato, nello sguardo, nel respiro.
Ultimo in ordine di tempo, a ridosso di Tokyo, le ridicole accuse di razzismo per antiche dichiarazioni da lei mai pronunciate. Era scesa in campo perfino la Biles in sua difesa: “Vanessa has always been kind with us”, e gli hater sui social si sono placati. Sarebbe bastato ricordarsi del bronzo Europeo dello scorso 25 aprile, sulle note di ‘Bella ciao’ – omaggio anche alla sua, resistenza?
Non poteva essere questo a minare i dubbi di Vanessa in Giappone: splendida nel quarto posto di squadra, sicura nelle qualificazioni, serena – “Stavolta guardo solo a me stessa”, aveva detto – in finale. È la 31esima medaglia internazionale di una favolosa carriera: miglior ginnasta italiana di sempre, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana quando era ancora minorenne. Negli anni a seguire pop e discreta allo stesso tempo. Rimaneva solo quel vuoto alla voce olimpica: è uno sport di pura bellezza al prezzo di dolori e tensione perenne. Nel suo caso più frustranti che mai.
Gli highlights di una carriera straordinaria e sfortunata
A Pechino gareggia alle prese con un infortunio e chiude undicesima. A Londra si inventa perfino un esercizio, enjambé cambio ad anello con 360° di rotazione – dopo il cavallino rampante e il bollicine, voilà “Il Ferrari” della ginnastica –, che tuttavia non basterà: è terza a pari merito, finisce quarta per un cavillo del regolamento – ironia di oggi: Murakami e Melnikova bronzo ad ex aequo. Scrive un libro, “Effetto farfalla”, per raccontare il suo duro percorso dietro le quinte e rilanciarsi verso il Brasile. A Rio, lo show delle americane e un altro legno. L’anno dopo la rottura del tendine d’Achille – ricordate le lacrime di Spinazzola? – e “una paura profonda esplodermi all’improvviso”. La riabilitazione le riporta la forma, l’insegnamento in palestra alle ragazze di domani la voglia di un altro giro di valzer. Nel 2019 le diagnosticano la tiroidite di Hashimoto, una malattia autoimmune. Poi le Olimpiadi rinviate. Vanessa continua a lavorare in pedana. In fondo, oggi, la catarsi. “Spero di avervi emozionato”. Il corpo libero è il suo.