Elogio del testosterone olimpico a Tokyo 2020
I dieci minuti di virilismo atletico di Jacobs il Muscolo e di Timberi il Tendine, in un mondo dolcemente femminilizzato, sono gioia e machismo greco-classico. Mitigato dall’uncinetto
Allora diciamola tutta, non basta il rilancio sullo ius soli di Giovanni Malagò, che si gode la transnazionalità Texas-Desenzano della corsa di Jacobs e il translinguismo naturale del salto in alto (“amoreeee, it’s amazing”) di Tamberi al telefono con la fidanzata. Come riparazione alla destra più stupida del mondo, che ci onora delle sue sovrane scemenze e sovraniste, dobbiamo accennare la lode del testosterone.
La gioia degli atleti, in quei dieci minuti che hanno sconvolto le vecchie classifiche, e molto altro, dissolvendo nell’esultanza la noia umida delle Olimpiadi più tristi e calde di sempre, aveva molto di, diciamo così, maschile. Ci si può consolare, noi della generazione Zan, con la stupenda madre di Jacobs, con la mental coach che ha pianto per dieci minuti per il trionfo del ragazzo sul padre assente e sul suo spettro, ci si può ricalibrare con la magnifica promessa sposa del Saltatore Matto, una specie di compagno di Alice nei sogni di Lewis Carroll, un re del nonsense, è sicuro però che quei due giovani maschi nell’atto di abbracciarsi avvolti nel tricolore sembravano il manifesto iconico dell’antiepoca. Lgbtqi+ forse, nessuno è immune dalla libertà desiderante, ma erano di certo partner di molti sogni femminili (Chiara Geloni, una twitterata di grande talento, una che fa arrabbiare tanti, ha subito scritto che non saprebbe fidanzarsi con uno dei due, li vuole entrambi).
Non è solo che sono belli, uno il Muscolo nella sua tensione al traguardo, l’altro il Tendine e l’altezza, sua e dell’ostacolo. Non è solo questione di dentatura, sorriso, occhi giovani e ingenui, allegria incontinente, nel Tendine accompagnati da una pettinatura hipster da road movie, è che sembrano eroi di un mondo maschile classico, quello dei giochi di Sicilia per il padre Anchise nell’Eneide, quello dei giochi nella piana di Troia per Patroclo morto in battaglia nell’Iliade. Tutto in quei dieci minuti di machismo selvaggio alludeva all’eroe di tempi in cui alle donne toccava l’epos della vedovanza di Andromaca e dell’amore tradito di Didone, punto e basta.
Viviamo in un periodo normale e adulto, forse, che a queste cose non dovrebbe nemmeno farci caso, eppure ci nutriamo di segni, patrimonio della nostra comune cultura, e di interpretazioni, scavalcando disinvoltamente i fatti ormai irrilevanti. Quindi si deve stare al gioco, e nel mondo dolcemente e saggiamente femminilizzato la quota macho dell’atletica, che ha anche le sue eccellenti quote rosa, non dovrebbe fare notizia né incepparsi nel commento. L’eroismo dell’atletica riguarda tutti, basti pensare al salto magico di Sara Simeoni e a mille altri contrassegni di baldanza e trionfo al femminile. Ora è il momento, è stato il momento, di un virilismo atletico che può essere visto in diretta e riguardato nella differita dell’osservazione di costume. Naturalmente in questi giochi intorno al ruolo, che hanno preso tanto spazio nelle nostre vite esauste di luoghi comuni, qualcosa che riscatti l’esplosione testosteronica era necessaria, e subito è arrivata, con il giubilo di noi veri conoscitori capaci di apprezzarla, la controimmagine che salva e ha del sublime semiologico. In una qualche tribuna un tuffatore britannico bagnato nell’oro, come il ginnasta che si tuffa a Paestum, Tom Daley, sferruzzava all’uncinetto, stoffa rosa, pensando al suo trionfo, ai trionfi degli altri, e a suo marito.