Il Foglio sportivo
La prigione di Enoshima. Silvia Zennaro racconta la sua Olimpiade
Giornate sempre tutte uguali, fra spazi ridotti con accesso negato alle piscine, tamponi salivari quotidiani e monitoraggio continuo. La vita al villaggio olimpico distaccato della vela
Il villaggio olimpico della vela a Enoshima? Una prigione. Almeno per Silvia Zennaro, velista del Laser Radial, rientrata martedì dopo aver disputato la medal race. O meglio, aver cercato di disputare l’ultima regata: la 32enne di Chioggia infatti è stata inchiodata al settimo posto mentre già aveva preso il largo verso la prima boa, in quanto per un secondo aveva infranto la partenza omogenea delle fortissime rivali. “Ho preso rischi che non avevo mai preso, poiché non avevo niente da perdere e volevo giocarmi tutto. Ma non è facile in acqua rimanere precisi”, rivela l’atleta, accolta nella sua città da una cerimonia con le autorità civili e militari. “A Rio, cinque anni fa – prosegue Zennaro – ero molto emozionata, tanto che al ritorno avevo un senso di vuoto, non ricordavo una sola delle mie regate. Arrivando fuori dalla finale non avevo dimostrato il mio valore, per questo a Tokyo volevo lasciare il segno”.
Silvia è incappata nel Covid, all’inizio del 2021: ferma un mese, ha faticato a recuperare la forma in tempo, ma la costanza dei risultati nello specchio acqueo antistante l’isola – miglior punteggio loro della flotta, a differenza di avversarie altalenanti – ha fatto sognare l’intero team per un podio che sarebbe stato clamoroso. “Invece l’hanno vinta, e d’oro, Ruggero Tita e Caterina Banti – continua – ai quali io e Mattia Camboni (il windsurfer della classe RS:X, anch’egli sanzionato per la partenza anticipata mentre inseguiva l’oro, ndr) abbiamo chiesto di andarsi a prendere la medaglia che noi avevamo perduto. Siamo molto uniti, purtroppo non abbiamo potuto far festa assieme perché eravamo già in volo: non appena sono scesa, la prima cosa che ho voluto leggere è stata la loro vittoria. Sono molto contenta per il risultato della squadra, tutti gli elementi hanno influito univocamente in questo successo”.
Domenica scorsa è stato anche il giorno magico di Jacobs e Tamberi: “Noi velisti eravamo collocati in un villaggio distante da quello principale di Harumi – spiega la timoniera veneta – e i trasferimenti verso Casa Italia non erano semplici, tanto che non ci sono stata mai. Rispetto a Rio, due realtà completamente diverse: in Brasile una festa, una situazione enorme e favolosa. Qui eravamo dentro la bolla, prelevati all’aeroporto e trasportati dall’hotel al campo di gara in 45 minuti, ciascuno con posto assegnato alla mensa e diviso dagli altri a tavola da separé di plexiglass. Addirittura ordinavamo via Amazon le cose che ci servivano”.
Giornate sempre tutte uguali, fra spazi ridotti con accesso negato alle piscine, tamponi salivari quotidiani e monitoraggio continuo: “Alcune colleghe sono state isolate in camera per 14 giorni, dopo il contatto con una persona positiva al virus. Era tutto ben gestito, anche se dovevamo indossare le mascherine pure all’aperto, con 40 gradi e il 90 per cento di umidità: averla abbassata per strada al ritorno in Italia è stata una liberazione! Sì, dico che al villaggio era come stare in prigione: ma forse proprio non aver avvertito il clima olimpico mi ha aiutato a focalizzarmi sulle regate, pensando che fossero come tutte le altre che ho disputato”.
Solidità, grinta e concretezza alle quali ha contribuito il suo mental coach, Paolo Benini: “Mi guardavano come se fossi impazzita, per quanto ero tranquilla. A Rio mi facevo condizionare, cinque anni dopo sono diventata impermeabile a ogni input esterno, e abbastanza ‘cinica’ verso le gare, riuscendo a estraniarmi da eventuali negatività che mi scivolano addosso”.
Silvia Zennaro è una che non ha mai rinunciato ad aggiornare il proprio pubblico attraverso i social network, nei giorni in cui il ct del volley femminile Davide Mazzanti si è mostrato critico in tal senso: “Ho voluto essere ciò che sono, fare quello che faccio sempre – rivela la rappresentante delle Fiamme Gialle – anche perché in Giappone non c’era nessuno dei miei contatti. La pressione dei network non ha influito, anzi, andasse sempre così...”. E una volta scesa dall’aereo a Venezia, finalmente l’amata cucina italiana: “In mensa a Tokyo – conclude Silvia Zennaro – c’erano sempre pollo, maiale, scaloppine di manzo, frutta, broccoli tutti i giorni, una simil-pizza... Non ce la facevo più a mangiare sempre le stesse cose. Non appena sono atterrata, ho pregato ai miei di portarmi davanti a una vera bistecca: sarà una lunga settimana enogastronomica!”.
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