La missione completata di Karch Kiraly a Tokyo 2020
La Nazionale femminile degli Stati Uniti ha conquistato l'oro ai Giochi olimpici. Una vittoria che permette all'allenatore delle americane di completare il suo personale Grande Slam: dal campo alla panchina passando per la spiaggia
Quando Michelle Bartsch, schiacciatrice della nazionale americana, ha salvato una palla quasi impossibile, ben oltre la linea del campo e a ridosso delle postazioni riservate ai giudici di fondo, a pochi minuti dalla conclusione vittoriosa della finale olimpica una persona in quel momento a lei molto vicina era la più felice e soddisfatta tra tutte: il suo allenatore, Karch Kiraly, mito indiscusso del volley internazionale fra gli anni Ottanta e Novanta, manuale umano dei perfetti fondamentali di difesa in palestra e in spiaggia. Perché proprio quel salvataggio è l’emblema della sua pallavolo, il marchio di fabbrica di una nazionale capace di vincere l’oro ai Giochi per la prima volta nella sua lunga vicenda.
Di medaglie pregiate, invece, Kiraly ne assomma già quattro, completando lo slam da giocatore (1984 e 1988) a beacher (1996), a commissario tecnico; senza contare i titoli italiani e internazionali conseguiti con la Messaggero Ravenna trent’anni fa, assieme al “gemello” Steve Timmons.
Nell’olimpica esibizione dell’Ariake Arena la selezione statunitense, vitaminizzata e a prevalenza wasp, ha confermato la forza dimostrata in semifinale, dove aveva demolito le favorite serbe (reduci dalla vittoria contro le azzurre di Mazzanti), schiacciando - è proprio il caso di dire - il classico Brasile per 3-0. Oltre che in campo, dove giostravano diverse atlete del campionato italiano (Poulter, Washington, Rosamaria tra le altre), lo scontro al vertice aveva luogo nelle panchine: anzi, nello spazio critico che precede le linee.
Da un lato il serafico KK, padrone della sua aura Golden Age e non bisognoso di troppi suggerimenti alle allieve, che lo ripagavano mettendo in scena tutto il repertorio pregiato di colpi, esperienza ed entusiasmo. Dall’altro, Ze Roberto, leggenda verdeoro con tre allori olimpici, il primo dei quali conquistato a Barcellona alla guida della nazionale maschile: un fuoco irrequieto, nervoso, perplesso per quanto le atlete non stavano facendo, allo scopo di contrastare le scorrerie delle bande avversarie.
Due pallavolo differenti, se non opposte: continuità dell’alzatrice Roberta nel cercare gli stessi martelli nel Brasile, scientifica difesa a oltranza e varietà di soluzioni al di là della rete. Il corso delle cose era segnato: per la commozione di tutte le gioventù cresciute a pane e poster con la difesa acrobatica a due centimetri dalla sabbia, il dorso della mano anche sotto, Karch Kiraly allarga il suo spazio nella storia e vi conduce anche il suo grande Paese. All’Italia -accreditata alla vigilia almeno delle potenzialità di una semifinale - restano i rimpianti e le scelte da fare, pensando già a Parigi 2024.
Il Foglio sportivo - In corpore sano