Il Foglio sportivo
Il baseball realizza i sogni
La MLB si “appropria” del campo dove venne girato “L’uomo dei sogni”, con Kevin Costner e Ray Liotta. Appuntamento all'una di notte di venerdì 13 agosto per l'incontro tra White Sox e Yankees
Lo spirito olimpico, la fiaccola, la tradizione, i ricordi, la costruzione al tempo stesso retorica e asciutta. Valgono ovunque, con livelli differenti di abilità nel far arrivare a destinazione il messaggio. Il baseball, per esempio, da sempre punta sui valori del passato: non per nulla viene spesso chiamato America’s pastime, il passatempo preferito dagli americani. Vincere o perdere conta (relativamente) poco, e qui è il bello e il brutto: più che in altri sport, il pomeriggio allo stadio è uno spasso a prescindere, vai e stai bene, meglio ancora se i tuoi vincono. Non per nulla è il più longevo, 1877 o giù di lì, fino agli anni Settanta era il più popolare e più degli altri ha influenzato linguaggio, cultura e abitudini: milioni di persone al mondo indossano un cappellino da baseball senza forse neanche conoscere lo sport, e quanti di quelli con il monogramma NY in testa sanno che non indica la città di New York ma i New York Yankees? Di baseball furono le prime radiocronache, e generazioni di americani sono cresciute ascoltandole in afosi pomeriggi estivi, affascinate dal costante brusio della gente e dalla sonorità carnale che distingue il baseball da tutti gli altri sport: il rumore secco della mazza che colpisce la palla, il tonfo della palla stessa che si insacca nel guantone.
Una miscela speciale. E non per nulla nella letteratura e nel cinema proprio il baseball ha avuto risalto maggiore e più intenso, più profondo. Toccando l’apice nel 1989 con il celebre “Field of Dreams”, in italiano “L’uomo dei sogni”, con Kevin Costner e un Ray Liotta goodfella sognante nei panni di un giocatore di baseball, Shoeless Joe Jackson, che assieme a sette compagni di squadra dei Chicago White Sox accettò – colpevolezza mai provata al cento per cento, mistero che dura da oltre un secolo – di vendere le partite della finale del 1919. Romanzo e film di formazione, di riconciliazione familiare, di sogno, nel quale uno Shoeless Joe materializzato all’improvviso invita Ray Kinsella (cioé Costner), sfigato contadino dell’Iowa, a costruire un campo di baseball nel mezzo della sua tenuta perché “se lo costruisci, lui tornerà”. Il ‘lui’ sarà, alla fine, il padre di Costner, John, deceduto anni prima senza mai essersi riappacificato col figlio anche a causa dell’abbandono di quest’ultimo della passione per il baseball. Nel frattempo il racconto, paragonato a ‘La vita è meravigliosa’ di Frank Capra per il tono ottimistico che sottintende anche ai momenti più cupi della narrazione, tocca varie corde del cuore, tra il retorico, il sognante e il piagnone. E ora, sempre nel legame tra cultura popolare, tradizione e attualità, il baseball vero torna, anzi va, nel campo dei sogni: all'una di notte di venerdì 13 agosto White Sox e Yankees giocheranno una partita di regular season ai margini del podere dove venne girato il film, vicino a Dyersville, nella parte orientale dell’Iowa, non molto distante dall’Illinois e a circa quattro ore da Chicago. La realtà si infratta nella fantasia così come nel film i giocatori di quella squadra del 1919 facevano, una volta usciti di scena, nel fitto della piantagione di granoturco, panorama che contraddistingue il bonario Iowa e molti stati del centro degli Stati Uniti. Si dice addirittura che all’epoca dell’espansione americana verso ovest molti pionieri, passando per le zone già coltivate a mais e soprattutto grano, accusassero il mal di mare per l’ondeggiamento ventoso delle spighe a perdita d’occhio dai quattro lati, e l’ambientazione del film e della partita riflette questa realtà, un miracolo in mezzo al nulla grazie anche all’opera di Don Lansing. Che è uno dei due contadini sul cui terreno era stato costruito il campo per il set cinematografico. Mentre il suo dirimpettaio Al Ameskamp, a film completato, ha ripiantato il mais, Lansing ha lasciato quasi intatta l’area utilizzata per le riprese, e prima di cederla a una società per la preservazione ha concesso ai turisti accesso libero, gratuito, suggerendo solo una donazione di 20 dollari, citazione tra l’altro di un celebre momento del film: sono circa 65.000 l’anno quelli che decidono di farsi alcune ore di auto per venire a vedere un mero frutto della fantasia, correre sulle basi, lanciarsi qualche pallina e provere il brivido di Shoeless-izzarsi infilandosi tra le piantine adiacenti. Per qualche tempo, una domenica al mese, un gruppo di dilettanti locali ha giocato una partita, entrando in campo non da spogliatoi ma direttamente dalle coltivazioni, senza che nessuno ritenesse la sceneggiata di cattivo gusto. Il baseball è lo sport dei sogni, della nebbia profumata che unifica presente e passato e proprio per questo si può giocare una partita per onorare uno stadio esistito solo al cinema: la Uefa organizzerebbe mai un Ungheria-Italia nel campetto dove fu girato il film Fuga per la vittoria?
Poi: marketing, certo. Opportunismo, certo. E finzione nella finzione: perché il campo originale era troppo piccolo per una partita vera e riadattarlo avrebbe voluto dire rovinarlo, per cui la MLB ne ha costruito un altro a 150 metri di distanza, poco oltre un labirinto intagliato nel fitto del mais, modellandolo in onore del Comiskey Park, l’impianto dove giocavano quei Black Sox macchiati dal destino. Si parcheggerà come per andare all’originale, gli passerà accanto e si arriverà al luogo, dotato di tribunette per circa 8.000 persone, molte delle quali residenti dell’Iowa vincitrici di una lotteria per l’acquisto di biglietti al costo unitario di 375 dollari. Tribunette che hanno avuto a loro volta una sorte particolare: questa partita, infatti, si sarebbe dovuta giocare un anno fa, ma la pandemia ha fermato tutto e le strutture per il pubblico sono state dirottate a Buffalo, per completare lo stadio locale dove hanno giocato, in esilio dal Canada fifone per il Covid, i Toronto Blue Jays. Ora sono tornate nel luogo deputato, pronte ad assorbire una serata che sarà unica, come unici sono i sentimenti espressi dal film: in una delle scene più intrise di emotività e onirismo John Kinsella, ritratto poco più che trentenne, dice al figlio “è bellissimo qui, per me è come un sogno che si realizza. Ma dove siamo? Siamo in Paradiso?”. “No, siamo in Iowa” è la risposta. Per una sera, giovedì, non ci sarà differenza.