Pedro “ha passato ponte”. Storia ribelle di chi ha varcato il Tevere
Lo spagnolo è il primo giocatore a trasferirsi dalla Roma alla Lazio negli ultimi quarant'anni: un’idea mai gradita alla piazza
C’è una vecchia espressione romana che racconta una riottosità a mescolarsi: “passare ponte”, verbo trasteverino per sottolineare l’irriducibilità del tredicesimo rione quando si trattava di entrare nel resto della città. Pedro Eliezer Rodríguez Ledesma ha passato ponte, audace primo accordo di Lotito con Trigoria. Per le statistiche è il settimo passaggio diretto di giocatori dalla Roma alla Lazio. All’inverso se ne contano tre (Lazio più liberal o meno sanguigna?). In totale sono 25 i giocatori col doppio spid romano. Nel 2014 l’artista Flavio Favelli sulla facciata dell’ex deposito del Porto Fluviale a Ostiense aveva messo in sequenza 150 mq di figurine giallorosse e biancocelesti passate all’altra sponda, forse il manifesto più violento attaccato a Roma dagli anni 70. Un’idea, il passaggio tra club, in sé mai gradita dalla piazza, per cui esiste una gradazione del fastidio – moderato, scaramantico, indisposto, inaccettabile – comunque dai confini labili, come un dado truccato.
La Roma pretese una penale in caso di convocazione al derby quando nel 1934 passò alla Lazio Attilio Ferraris, romano di Borgo, campione mondiale nel ’34 e sette anni in giallorosso. Aurelio Picca ricorda “di quando la luce di Monte Mario calava dentro l’Olimpico di Chinaglia e di Ciccio Cordova” e proprio l’amato e discusso Cordova, 9 anni di Roma, 4 da capitano, arrivò nel ’76 nella Lazio post scudetto dopo un braccio di ferro col presidente costruttore Anzalone. Riuscì a rifiutare la cessione al Verona, e soprattutto a permetterselo economicamente: “Per pura ripicca sono andato alla Lazio, fu dolorosissimo, ce l’ho ancora addosso quel dolore”. Giocò arcigno e senza timori uno storico derby in trasferta vinto in rimonta. Un altro “Pedro” in fuga, Sergio Petrelli, scappò da Herrera per abbracciare Maestrelli, vinse lo scudetto del ’74 (come accadde a Sinisa Mihajlović nel 2000) da ottimo gregario ed entrò nel mito del clan pistole & palloni (il portiere laziale Sulfaro, pararigori al derby, entrò nell’affare). Michele De Nadai, baffuto vincitore delle Coppe Italia 80/81, lasciò Falcao per un anno alla Lazio, strappo però ricucito subito. Il difensore Carlo Perrone arrivò da Trigoria nel 1982 con già 4 anni di Lazio, il suo triplo carpiato non è mai diventato un case study. Nel 1986 la maledetta domenica del portiere Astutillo Malgioglio, ex vice di Tancredi, finì tra papere, insulti e magliette gettate via con disprezzo.
Da Trigoria con giro largo vennero Maestrelli, capitano della Roma che precipitò in B nel 1951, poi nel 1997 Eriksson, “il perdente di successo” di Roma-Lecce. Diretto ma col cuore infranto arrivò Zeman, il rivoluzionario che disse “il derby è una partita come le altre” e da avversario l’anno dopo ne perse 4. Alla Roma arrivarono nel 1948 Alessandro Ferri, giovanissimo marcatore della Lazio che espugnò Testaccio per la prima volta nel ’39, nel 1928 dopo tappa milanese il monticiano Fuffo Bernardini, pioniere e pilastro del calcio romano, capitano e bandiera laziale, nel 1958 il bomber “Raggio di Luna” Selmosson (a segno nei derby, recordman con Kolarov). Le 15 presenze di Diego Fuser agli sgoccioli di carriera pesano ancora per l’ortodossia laziale. Tra gli ex romanisti Ziroli, Galli, Domini, Peruzzi, Siviglia, si ricordano si ricordano Roberto Muzzi e Fabrizio Di Mauro entrambi prodotti del vivaio Trigoria: il primo (leggenda dice di fede laziale) negli anni Novanta aveva pure corso sotto la Sud dopo un gol come da tradizione, per poi ritrovarsi in campo da laziale nel derby 2005 del ritorno di Di Canio. Il secondo riuscì addirittura a segnare nel derby nel 1993: un gol insperato che fruttò ai laziali il pareggio. Infine gli ex laziali, Di Biagio, D’Amato, Zaglio, Pastore. Su tutti però incombe l’ombra, l’incubo di Lionello Manfredonia, pupillo del patriarca Chinaglia. Arrivò via Juve nel 1987, segnò un’epoca, spaccando letteralmente il glorioso Cucs, per sempre. Troppo anche per un ponte.