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La playlist della Serie A

Enrico Veronese

Cosa dobbiamo aspettarci dalle venti squadre della Serie A? Quali saranno le sorprese e quali le possibili delusioni? Non lo sappiamo. Le previsioni della vigilia non sono quasi mai esatte. Quindi abbiamo deciso che era inutile farle. Meglio la musica. Una canzone per ogni squadra. E via a ballare

Inizia la Serie A 2021/2022. Si parte sabato con Inter-Genoa e Verona-Sassuolo alle 18.30. Chi seguirà all'Inter nell'albo d'oro? Cosa dobbiamo aspettarci dalle venti squadre che parteciperanno al campionato italiano? Quali saranno le sorprese e quali le possibili delusioni? Non lo sappiamo. Le previsioni della vigilia sono quasi mai esatte. Quindi abbiamo deciso che era inutile farle. Meglio la musica. Una canzone per ogni squadra. E via a ballare.

 

ATALANTA

Ma ci pensi mai? La Champions League, la bolla di Lisbona, a mezzo minuto dall’eliminare il Paris Saint Germain, riprovarci col Real Madrid, strappare un punto al Manchester City. Sfoggiando un gioco avvolgente ed efficace, perfezionando interpreti inediti a livello internazionale. Eppure, all’Atalanta di Gasperini manca un titolo per poter dire di aver messo a frutto questi cinque anni di lavoro: mai come nel campionato che sta per iniziare ciò appare possibile per la “indie” di Bergamo, fra tanti stravolgimenti nelle panchine - e non solo - i nerazzurri appaiono rodati, anche se in divenire tattico. Non è un segreto che l’ambizione mangi le unghie del successo, cantavano gli U2 trent’anni fa: per questo è possibile scommettere sopra chi sta per fare il grande passo. L’itpop piace, col pepe della cumbia di Muriel anche Colapesce e Dimartino sono già mainstream: ma senza uno scudetto o una coppa “siamo a mezz'aria tra la bomba e la miccia, la galassia e l'Italia, la città e la provincia”.

A Bergamo si cantano i Coma_Cose: “Mille tempeste”

BOLOGNA

Comunque la si giri, lo spettro mediatico del Bologna FC 1909 gira sempre attorno a Siniša Mihajlović. Il discusso allenatore serbo convive, com’è noto, con i postumi di una terrificante leucemia, che lungi dal fiaccarlo lo ha rivisto presto in panchina. Sotto la coppola vibra un’icona di carattere e di prese di posizione tranchant: gli stessi attributi che ora, con Marko Arnautović, prendono possesso dell’area di rigore. La punta austriaca ha già spaventato la miglior difesa azzurra a Londra, segnando appena oltre il filo del fuorigioco e subito polemizzando con gli spalti: se questo è l’inizio, auguri. Soprattutto a chi si sente un sopravvissuto e sfodera l’occhio della tigre, correndo nella neve per allenarsi: i tifosi sognano almeno di avvicinarsi all’Europa, la proprietà sta coi piedi per terra e pensa a salvarsi il prima possibile. Saranno d’aiuto i tanti giovani dell’ottima Primavera, che il tecnico ha preso a lanciare senza lasciarsi turbare da carte d’identità datate 2005.

Al Dall'Ara si cantano i Survivor, “Eye of the tiger”



CAGLIARI

Un’estate strana, dalle parti della Cagliari calcistica. Spesa ad attendere Godot che non arriva (Nainggolan passato dall’Inter al rimpatrio nell’Anversa senza passare dall’aeroporto di Elmas), i campioni d’Italia che prima lusingano poi quasi ripudiano Nandez - destinato a rimanere in Sardegna, non si sa con quale spirito - e l’Atlanta nella Major League del Soccer che offre ponti d’oro a João Pedro, capace di un sussulto e di dire di no, quando tutti dicono di sì fin troppo presto. L’estate di quelli che aspettano, di coloro che hanno aspettato un anno per rivedere (al 50 per cento) i propri colori volare verso il continente: Leonardo Semplici passa in sordina ma stavolta la panchina è sua dal principio, come le storie che cominciano, come dar calci a un barattolo. Nell’isola del garage 60s, dei festival nelle vecchie miniere o nei laghi dissalati, aspettano solo un botto di mercato, un nome da sfoggiare sopra le maglie dai fonti tutti uguali, un motivo per crederci ancora e sognare.

Al Unipol Domus si canta Martin Garrix, Bono, The Edge, “We are the people”

EMPOLI

Ormai allo stadio Castellani hanno fatto l’abitudine alle discese ardite e alle risalite, il pendolo tra Serie A mantenuta a sforzo e Serie B rivinta in carrozza. “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” è il mantra consolidato che l’ascensore per niente bloccato recapita alle maglie azzurre, nemmeno capoluogo eppure realtà immanente del calcio italiano. Anzi italianissimo: il vecchio saggio Andreazzoli, l’ambizioso Mancuso, un Cutrone da rigenerare e l’ennesima sfilza di possibili sorprese dicono che, almeno tra le neopromosse, la squadra toscana è quella che dovrebbe fare meno fatica. Anche se l’esordio contro la Lazio e poi la trasferta allo Stadium della Juve si annunciano ad alto tasso di rischio: il saliscendi è anche emotivo, “certi giorni ho il morale alle stelle / certi altri odio anche quelle”, cantavano tutti nell’estate 1993 sopra questo brano della meteora Vernice, romana come il mister. Ma l’importante è che a fine anno sia una grande giornata.

Al Castellani si cantano i Vernice, “Su e giù”



FIORENTINA

Di Fiorentine ye-ye la storia ne ha conosciute tante. Quella di metà anni Settanta affidata a Mazzone, molti dei cui atleti purtroppo non ci sono più. Quella di fine anni Ottanta, Baggio-Borgonovo col 4-3 all’Inter campione. Quella di Batistuta, Oliveira, Edmundo, poi Mutu e Gilardino, Jovetić e mille illusioni europee spezzate dall’arbitro Øvrebo a Monaco di Baviera. Cifra stilistica: gioco arioso, interpreti giovani e spensierati, clima positivo, nessuna particolare ambizione immediata. Con Vincenzo Italiano in panchina e, restasse, Dusan Vlahović in campo magari sotto la curva Fiesole non si vincerà subito, ma si pongono le premesse per scalare le posizioni, senza rischiare più di salvarsi all’ultima giornata e rinunciando al gioco, come con i predecessori. La classe toscana trova suggestione nel ritorno al passato: caratteri tipici dei Baustelle, e “questo film ridicolo quando finirà?” pare uscita da una conferenza stampa di Rocco Commisso.

Al Franchi si cantano i Baustelle, “Arriva lo ye-ye”

GENOA

Niente da fare, come il professor Scoglio non ne fanno più. Lo sa bene Davide Ballardini, che ogni volta viene chiamato al capezzale del Grifone non sa quanto vi rimane, a quali condizioni, secondo le lune di Preziosi. “Io non faccio poesia, verticalizzo”, chi deve salvarsi senza patemi non vi può prescindere: alle frontiere in entrata e in uscita si accalcano sempre passaporti strani, vidimati dai campionati meno probabili. E dopo un anno, addio Shomurodov, benvenuto Ekuban: difficile per qualsiasi allenatore costruire sapendo che la società smonta la cornice a gennaio. Da piccolissimi pezzi nasce il quadro, canta il genoanissimo Michele Bitossi con la complicità di Bonnie Prince Billy: ha scelto di chiamare la sua band Numero 6 in omaggio al povero Signorini, e a tutti coloro che come lui ogni domenica soffrono tra le gradinate di Marassi e le partite in trasferta. Sempre agognando la stella, che da lontana si sta facendo supernova (ma senza champagne).

Al Ferraris, sponda rossoblù si canta Numero 6, “Da piccolissimi pezzi”

HELLAS VERONA

Cosa resterà di questi anni Ottanta? A Verona, sicuramente, lo scudetto dell’85. Alfa e omega ogni volta che si parla di calcio in città, quell’esperienza mistica non nacque isolata, anzi preparata negli anni dalla società e da quel prodigio di allenatore che era Osvaldo Bagnoli, Iddio lo conservi. I tempi cambiano, e l’estate corrente ha portato via dalle sponde dell’Adige l’artefice primo delle ultime sorprendenti stagioni, il tecnico croato Ivan Jurić, sbarcato in capo al Po, versante granata: comprensibile che la tifoseria sperava restasse, lo implorasse di non andare via. Anche perché non ha avuto un upgrade di carriera… Ora la difficile partita del “keep Hellas great again” incombe sulle fragili spalle di Eusebio di Francesco, una mitologica semifinale di Champions offuscata dalle delusioni di Genova e Cagliari: per lui, dovesse affermarsi e mantenere la squadra ai livelli di gioco e di punti cui ha abituato, sarebbe la più solida delle rivincite sportive, say what you say.

Al Bentegodi si cantano gli Oasis, “Don’t go away”

INTER

Antonio Conte aveva ragione. Nessuno, al di fuori degli ambienti societari, si sarebbe potuto aspettare questo calvario, dopo uno scudetto trionfale e con l’organico (già fortissimo) corroborato da neocampioni europei e sudamericani. E invece puff, il palloncino è scoppiato in faccia a Beppe Marotta e a milioni di affezionati: il governo cinese restringe gli investimenti delle imprese nel calcio, Zhang obbedisce e taglia come d’uso nelle delocalizzazioni. Via il tecnico (e che tecnico), via il miglior esterno destro al mondo e un centravanti impossibile da rimpiazzare perfettamente. Arrivano un signore educato e amante del gioco, un buon sostituto di fascia, un vecchio giramondo dell’area: tutto il resto è resistenza, per la gloria. Così funziona il Nuovo Ordine, ciò che valeva ieri oggi non vale più. Serve solo tanta fiducia, autentica e incrollabile, per passare indenni la nottata e portarla a casa anche quest’anno. Con la scusa per ascoltare una canzone bellissima.

Nella San Siro nerazzurra si cantano i New Order, “True faith”

JUVENTUS

Dopo il Nuovo Ordine, la Restaurazione. Madama fa il botox alla livornese per tornare al successo. Pirlo young ma non invincible, Sarri mai davvero amato, Allegri riscalda la minestra e fa con quello che c’è: sarà lui a trovare un posto a Kulusevski, a Bernardevski, a inserire Locatelli stringendo Bentancur e immaginando Danilo che si libera di Cuadrado, dopo aver cercato di sbolognare Alex Sandro lo ritrova prezioso in difesa. Senza Paratici, i cambi principali sono nell’alta società: da casa Ferrari giunge Arrivabene -ma questo lo sapremo solo alla fine- e Cherubini a fare il mercato. Tutti la danno per favorita, eppure c’è chi ricorda di quando lo era davvero, per censo e per stile: una con tutte stelle nella vita, che non vuole la luna ma almeno le tre sul campo (quasi quattro ormai) sì. E alla scrivania generazioni di affaristi discreti, coltivatori di talenti nelle squadre satellite, per crescersi i Ronaldo in casa e Chiesa: un volo a planare per chi deve ancora mangiare pastasciutta.

Allo Juventus Stadium si canta Loredana Bertè, “Non sono una signora”

LAZIO

Lo scontro tra Sarri e Mourinho nel derby romano è forse il principale motivo di attrazione del torneo 2021-2022. Un anno fa nessuno avrebbe potuto prevedere che i due, ma anche uno solo, approdassero nelle panchine della capitale: sintomo di rinnovata ambizione per Lotito e i Friedkin, certo, ma anche del capovolgimento di gerarchie che il calcio attuale vive in continuazione. Pur non essendo venuta meno la rosa, il lavoro del tecnico di Figline Valdarno si annuncia impegnativo, nel cambiare il dna di una squadra che aveva fatto bene -a tratti benissimo, a cavallo del lockdown- con Simone Inzaghi. Via la difesa a tre, ecco quella a quattro: davanti si rivede Felipe Anderson, Immobile è una garanzia almeno in campionato, rimane l’incertezza per il terzo moschettiere. Dalla panchina, il carisma avvolto nel fumo è lo stesso di quando il Napoli lottava per lo scudetto e la Juve bipartita lo vinceva, con il felice transito europeo al Chelsea: tutto su Maurizio, dunque.

Nell'Olimpico biancazzurro si canta Neffa, “Sigarette”

MILAN

Diciamolo: senza un Milan forte, il campionato non era la stessa cosa. Per questo anche gli avversari si felicitano per il ritorno al vertice, già avvicinato l’anno scorso: tanta gentilezza in panchina con Pioli, pari protervia al centro dell’attacco con i muscoli di Giroud e l’ego di Ibrahimović. Via Calhanoglu? Non importa, Brahim Diaz ha già mostrato di sapere come si fa. E Florenzi è pronto a farsi in tre, terzino mediano ala, se dall’altra parte corre Theo Hernandez e l’area è presidiata da gente come Kjaer, Tomori e il nuovo Maignan (per non parlare dell’uomo ovunque, sergente Kessié). Una squadra di uomini veri, pistoleri, diversa da tutti i Milan che l’hanno preceduta: tale plastica dimostrazione di forza, autocoscienza e peso della storia trova note nelle svedesi Icona Pop, che se ne fregano sì ma prima piazzano la bomba. Sugli spalti c’è chi attende da troppo, e fuori dalla porta c’è un’Eurofestival Champions (“I want it!”) che è casa da riconquistare.

Nella San Siro rossonera si canta Icona Pop, “I don’t care”

NAPOLI

Da un lato la Regola, gli spigoli e il rigore (non quello che si fischia). Dall’altro lo sciallo, il tir(o)aggiro, ‘a fantasia: il Napoli di quest’anno oscillerà tra questi due poli, l’uno simboleggiato dal nuovo allenatore Spalletti, l’altro ovviamente in capa a Insigne. Il fantasista è forse all’ultimo giro di boa con la maglia della sua città, e prima di provare a vincere altrove (sempre ammesso che parta) vorrà cercare di lasciare il segno allo stadio Diego Armando Maradona. Una qualificazione in Champions sfumata l’ultima giornata tra le polemiche può ammosciare l’umore in questa eterna estate azzurra, europea e olimpica: ma basta che i Nu Genea, duo tutto partenopeo di stanza a Berlino, facciano uscire il nuovo singolo “Marechià” per riportare il sole tra le nuvole. Rappresentano un’altra Napoli, internazionale e storicizzata, smart e per tutti, alternativa alle abbuffate di Luca “Il Sole di Notte”: la Regola e la comodità, se si mettono assieme fanno paura.

Allo stadio Maradona si cantano i Nu Genea, “Marechià”

ROMA

Vedi Lazio. Con ancor più impatto, se possibile: annunciare l’arrivo di Mourinho in panchina dà la certezza di un anno coperto qualsiasi cosa succeda, impossibile passare inosservati. Lo Special, The One, è immanente come l’essere di Parmenide: può perdere partite e influenza nel calcio, ma per lo scalcinato campionato dei campioni d’Europa ancora basta e avanza. Non fosse che la trequarti è sfiziosa (Zaniolo Pellegrini Mkhitaryan, quanti altri possono?), che Mayoral si è rivelato e Shomurodov già dimostra, con Veretout implacabile da fermo e Cristante in medaglia azzurra, al portoghese basterebbe chiudere la difesa a doppia mandata per iniziare a far sognare. Non facile, con Spinazzola ai box, Karsdorp proiettato in avanti, Mancini leader naturale al quale abbinare uno Smalling mai a suo agio col tecnico. Poco importa, ora: la chiave è lui, Josè, wishing to be special anche dove non riesce nessuno da vent’anni. E chi più speciale dei Radiohead per ricordarlo?

All'Olimpico, sponda giallorossa, si cantano i Radiohead, “Creep”

SALERNITANA

Il doppio. Di Lotito, ovviamente: per quanti magheggi gli siano serviti ad iscrivere la squadra neopromossa, senza peraltro incorrere in penalità da ufficio indagini, tutti sanno che dietro c’è ancora lui. E c’era il tempo per farvi fronte, ancora quando i granata di Castori si stavano giocando la serie A contro Lecce e Monza: questa spada di Damocle ha condizionato anche il mercato, là dove la passione bollente di una piazza che attendeva dal 1999 si scontra con la realtà, la disillusione, il destino che taluno vorrebbe segnato. Poi arriva lui, il capitano buono: Simy Tochukwu Nwankwo, venti goal e passa a Crotone e il Benevento retrocesso sulla coscienza, uno stile tutto suo e la sostanziale immarcabilità fisica, capace di torcersi per rovesciare e anticipare di piatto col piede più lontano dal pallone. Al gigante nigeriano i cavallucci marini affidano le proprie speranze, anche se è scontato dire che esse dipenderanno più da quanto succede dietro le scrivanie.

All'Arechi si cantano i Double, “The captain of her heart”

SAMPDORIA

La maglia più bella del mondo, reca la scritta all’interno del colletto blucerchiato. Cresce la convinzione, a trent’anni dallo scudetto, a 75 dalla fondazione, nei mesi in cui Mancini, Vialli e il loro staff doriano trionfano con la Nazionale, si abbracciano, raccontano le proprie storie alle generazioni che ancora non c’erano. Sul campo la realtà è diversa, la gestione Ferrero ha prospettive più fosche di un pomeriggio di novembre, ma dietro la nebbia stanno intatti i colori, quella combinazione cromatica unica nonostante i tentativi d’imitazione. D’Aversa non è Ranieri anche se sa il fatto suo e può ricavare dall’organico più di quanto la carta gli assegna (sempre che non subisca ulteriori perdite). Ma ormai sono i bilanci, le plusvalenze, le offerte last minute a definire il destino di una stagione: e guardando le vele nel mare, tra i suoni dei grilli e quelli delle cicale, gli odori di cocco e forno a legna non è solo la nostalgia che risale, quanto la voglia di brillare ancora.

Al Ferraris, sponda blucerchiata, si canta Luca Carboni, “Colori”

SASSUOLO

Tutto lascia intendere che, anche con Alessio Dionisi in panchina (anzi, soprattutto con lui), l’incantesimo del piccolo Comune emiliano in serie A sia destinato a conoscere nuovi traguardi lusinghieri. Squadra giovane per eccellenza, che comincia a trattenere i suoi talenti -vedi la sorpresa Raspadori- e a scoprirne in ogni dove per allevarli e crescerli in casa, la compagine neroverde può ancora ambire a stupire, a centrare l’Europa League o la Conference, a lanciare in orbita i futuri titolarissimi delle big. Il sentimento di giovane freschezza, di miracolo comprovato dagli echi azzurri, non sono più quelli di una sorpresa: al tavolo che vale si siede anche la Mapei, stadio di proprietà alla mano. E così è facile preconizzare che l’estate infinita, calda fino a San Martino, riporterà in auge Ciccio Caputo, tratterrà Jeremie Boga, resisterà alle sirene per Mert Müldür. Con la stessa gioia di quando, nei mattini di luglio, con il telo per il mare si va tra le onde di Big Sur.

Al Mapei Stadium si cantano i The Thrills, “Big Sur”

SPEZIA

OK Computer. Il signor Platek dell’azienda Dell si è invaghito della squadra del golfo dei Poeti, e ha deciso di farla sua: da qui dovrebbe partire ogni discorso relativo al secondo anno dello Spezia in serie A, privo del tecnico ex machina (Italiano) e, per scelta, destinato ad accantonare il centravanti M’bala Nzola. Percorso in salita quindi per Thiago Motta, che non ha lasciato grandi ricordi di sé al Genoa, ma che in un ambiente più neutro per il suo passato potrebbe avere più margini per lavorare senza assilli. Il mercato recapita gli esuberi dell’Atalanta, un’altra infornata di stranieri senza pedigree e giovani speranze, con la tradizione che riferisce quanto sia difficile ripetersi in un contesto come la serie A. Già, il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, e questo è bene che dalle parti di La Spezia lo sappiano perfettamente; ma se almeno l’impianto di gioco resta intatto, non sarà impossibile centrare la seconda salvezza, che varrebbe più della prima.

Al Picco si canta Caparezza, “Il secondo secondo me”

TORINO

Un po’ si compiace, il Toro, di quell’aura da beautiful loser, da maledetto di fascino, che ne ha costellato la storia anche prima di Superga e di Gigi Meroni. L’outsider, l’underdog, in faccia a una dirimpettaia impegnativa nella stessa città: situazioni cui i granata hanno fatto fronte con l’epica della garra (chissà cosa avrebbe detto Adani di Pasquale Bruno), anche a scapito della valorizzazione di molti campioni pur presenti da sempre in rosa. L’èra Jurić si apre sciogliendo equivoci tattici e di risorse umane: il trainer è uno che non le manda a dire, ambizioso nel voler ripetere le orme del maestro Gasperini, e lo stesso ultimatum a Belotti è indice di quanto abbia il possesso del gruppo nelle sue mani. Dalla permanenza o meno del Gallo cambia molto, in termini di mercato e quindi di prospettive: ma c’è la certezza che, almeno per i due derby l’anno, gli sfavoriti faranno proprio di tutto per non passare da perdenti. Urge ricordarsene anche contro le altre.

All'Olimpico di Torino si canta Beck, “Loser”

UDINESE

Come ogni entità da poco tempo fuori moda, in questa temperie storica le luci sopra Udine si accendono raramente, in senso calcistico. Sono passati solo pochi anni da quando le zebrette sfidavano Messi e l’Ajax per passare il turno di Champions League, mettevano alla frusta il Werder Brema, dilapidavano ghiotte possibilità di incassi ai calci di rigore. Patron Pozzo c’è ancora, ma pare che gli interessi di più la Premier League con il Watford, scambiando giocatori come pacchi postali dal Friuli all’Inghilterra. Singolare che in panchina vi sia ancora Luca Gotti: non per sindacare le sue qualità, quanto per la continua impressione di non volersi cimentare a questi livelli. Senza Rodrigo de Paul e Juan Musso, nazionali campioni del Sudamerica, sarà tutto più difficile: basteranno gli altri argentini Pereyra e Pussetto per mantenere la serie A? Può essere, è lecito dubitarne. Un soldo di scommessa sul giovane Udogie magari va speso. Per il resto, buona fortuna.

Alla Dacia Arena si canta Coez, “Buona fortuna”

VENEZIA

Venezia non è una città come le altre. Anche nel calcio, costretta ad attendere il rifacimento del vetusto stadio Penzo, palafitta lagunare sopra i tubi Innocenti: forse le prime partite interne, dilazionate dopo la pausa azzurra, saranno giocate a Ferrara, ma questo non spaventa l’entusiasmo di una platea che rivede la serie A dopo vent’anni. Nella singolare scelta di affidarsi a carneadi islandesi e americani, la proprietà di Niederhauer ha compreso il nocciolo del brand: internazionale, stellato, passepartout per chi di calcio non si cura. A questa constituency è dedicata la maglia nera, col leone marciano -nemmeno “in moéca”- che sembra un angioletto, poi addirittura rimosso perché confliggerebbe (secondo le norme) con la scritta della città sul torace. La seconda maglia è mutuata dai mosaici di San Marco e riprende l’arancio e il verde delle due città d’acqua e di terra: ai tifosi non piace, troppo fashion e no-logo allo stesso tempo. Ma per l’exploit salvezza ci passano sopra.

Al Penzo si cantano i No Seduction, “Copyrighted”

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