Ori che luccicano
Dopo le Olimpiadi c’è molto da fare: sport in Costituzione e i fondi Pnrr per le strutture
Al direttore - Torniamo da Tokyo con un bottino di medaglie e di risultati inaspettati ben oltre le previsioni. Grandi risultati dall’atletica, dove da anni si lavora su un promettente settore giovanile e su atleti destinati all’eccellenza, e da discipline meno blasonate per le quali la scadenza a cinque cerchi rappresenta spesso il culmine degli sforzi quotidiani in palestre di frontiera, impianti non sempre adeguati e una clamorosa “distanza” fra il nord e il sud dell’Italia. Vinciamo e portiamo a casa le medaglie preziose, ma sbaglieremmo a considerare questi successi come la panacea di tutti i mali, perché questo ci porterebbe molto lontani dalla realtà delle cose.
L’Italia sconta ancora un clamoroso ritardo in termini di sportivizzazione delle città e di creazione di spazi per la pratica sportiva all’aperto, insieme a uno stato drammatico dell’impiantistica a sud di Roma. Un aiuto decisivo potrebbe arrivare dai fondi del Pnrr, dedicati alla transizione green e spesso immaginati a livello locale per ipotesi di trasformazione urbana legata allo sport e alla mobilità sostenibile: un cambio di passo anche culturale, insufficiente ma necessario. Per fare un vero salto di qualità bisognerebbe cominciare da un passaggio tutt’altro che simbolico: inserire la parola Sport in Costituzione, e dargli la dignità di diritto fondamentale, legato indissolubilmente al diritto alla salute e al benessere dei cittadini. Una nazione che non riconosce nella Carta fondamentale l’importanza dello sport ha poi grandi difficoltà a sostenere la necessità di inserire stabilmente l’educazione motoria nei programmi scolastici, a cominciare dalla scuola primaria e dell’infanzia, come indispensabile per la crescita dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze. Dalla Costituzione alla scuola e dalla scuola alle città: in mezzo un grande piano per l’impiantistica, soprattutto al sud, che annulli le differenze geografiche e consenta a tutti gli atleti, non solo quelli arruolati nei gruppi militari, di prepararsi senza doversi sobbarcare enormi sacrifici e senza poter svolgere un ruolo di catalizzatore sul territorio di appartenenza. Cambiare mentalità significa anche valorizzare le professioni sportive, riconoscendone le specificità, puntare su allenatori e staff dirigenziali che dimostrano in occasione di eventi come le Olimpiadi una capacità gestionale applicabile al necessario ricambio generazionale della classe dirigente italiana. Lo sport è ormai entrato nell’immaginario degli italiani come fondamentale nell’organizzazione delle proprie giornate e delle proprie vite, anche “grazie” alla pandemia e ai giorni del lockdown, che hanno fatto comprendere come le nostre città, liberate dalla morsa del traffico, siano delle gigantesche palestre a cielo aperto. Palestre appetibili anche per attrarre i flussi del cosiddetto “turismo sportivo”, sempre più gettonato all’estero e con introiti non indifferenti per gli operatori del settore.
In Italia, a proposito di ritardi, aspettiamo ancora che la famosa “mozione Lupi”, che facilita l’iscrizione degli atleti stranieri alle grandi maratone, diventi legge: un ritardo che costringe Roma a non poter competere con Berlino, Londra, New York, Boston o Valencia, sprecando l’occasione di una maratona che ha, indiscutibilmente, il “percorso più bello del mondo”. Adesso occorre che ciascuno faccia la propria parte, per non vanificare gli sforzi dei Tamberi, dei Jacobs, della Palmisano e di tutti i medagliati provenienti da discipline che vedono la luce dei riflettori solo ogni quattro anni, per poi essere dimenticati da tutti, anche da chi non dovrebbe.
E’ la battaglia di tutti, una battaglia di civiltà non solo sportiva, per dare un futuro migliore ai nostri figli e alle nostre figlie. Per dare un futuro migliore all’Italia, grazie allo sport.
*dirigente sportivo