L'inutile patema del sorteggio dei gironi di Champions League

Giovanni Battistuzzi

Il destino degli appuntamenti infrasettimanali dei tifosi di Atalanta, Inter, Juventus e Milan con i divani e i teleschermi si decidono oggi. Forse aveva ragione Guareschi: "Non mi preoccupo del futuro, tanto arriverà e mi troverà comunque impreparato"

Basta poco per segnare le serate infrasettimanali di milioni di persone. Sono sufficienti piccoli rettangoli di cartoncino messi dentro palline svitabili. Su di loro c’è scritto un nome che diventa data e luogo, appuntamento. Funziona così da sempre, da quando il calcio si è emancipato dal confine nazionale, ancor più da quando è diventato affaire televisivo, causando l’espansione e proliferazione del fantozziano mercoledì di coppa.

Gli appuntamenti verranno decisi oggi alle 18, con il solito teatrino di lustrini che preannunciano i ricchi premi e cotillon del sorteggio dei gironi di Champions League. Dato che però il calcio è una dilatazione continua, un buon metodo per riempire l’attenzione delle persone, si attenderà domani per finire il giochetto, per determinare le sorti future e meno sfavillanti dei gironi un po’ meno ricchi dell’Europa League e della nuova arrivata in casa Uefa, la Conference League.

I tifosi e i dirigenti di Atalanta, Inter, Juventus e Milan già si turbano, attanagliati tutti dallo stesso dubbio, se sia meglio incontrare subito i più forti o se sperare nella galanteria del tempo e del calendario.

 

La Champions League è prestigio, soprattutto soldi: 15.64 milioni di euro per la sola partecipazione, 2.8 a vittoria, 930 mila per un pareggio e poi 9.6 per la qualificazione agli ottavi, 10.6 per i quarti e via a salire sino ai 20 per la vittoria finale e 15.5 in caso di sconfitta nella partita conclusiva.

Soldi per rinforzi al prossimo calciomercato, per prorogare debiti, per avere un futuro.

Il futuro che riporterà tra un anno allo stesso crocicchio, quello dei sorteggi, quello che determina gli appuntamenti infrasettimanali, che apre la strada alla iniziale disperazione o euforia, alle prime recriminazioni contro la sorte, unica entità che riesce a competere con gli arbitri nella classifica dei rancori calcistici.

Preoccupazione sicuramente superflua, probabilmente inutile. Un girone vale un altro. Le regole dicono che due squadre passano agli ottavi, una va in Europa League, una viene eliminata. Chi è destinato a cosa lo decidono sei partite. E non sempre blasone e forza potenziale si trasformano in garanzie di approdo alla fase a eliminazione diretta.

L’anno scorso Manchester United e Inter esultarono per la generosità dell’urna ad agosto, si ritrovarono fuori dalla Champions a dicembre. Gli inglesi in Europa League, i nerazzurri a consolarsi con la Serie A.

Foto LaPresse

Due anni fa il debutto europeo dell’Atalanta sembrava d’estate una passeggiata, divenne un mezzo massacro prima della redenzione all’ultimo.

 

Vicente Del Bosque, due Champions League vinte in carriera, disse che “la cosa più stupida del calcio è interessarsi dei sorteggi. Se sei forte non te ne dovrebbe fregare nulla, devi vincere. Se sei meno forte devi solo sperare che alle altre squadre vada storto qualcosa”. Era uomo pratico Del Bosque.

Sul Borghese, nel 1964, Giovannino Guareschi mise in bocca a uno dei suoi personaggi una frase che le squadre italiane dovrebbero appuntarsi sullo stemma prima di partecipare al sorteggio europeo: “Non mi preoccupo del futuro, tanto arriverà e mi troverà comunque impreparato”.

 

In ogni calciofilo esiste e sussiste una cinica tendenza alla predestinazione. Spesso furoreggia nei momenti di gioie modeste, a volte la si dimentica in quelli vittoriosi. La si scorda quasi sempre quando è il momento dei sorteggi di qualcosa. Generazioni di sagaci commenti ai tavoli e ai banconi di bar e osterie non sono un qualcosa che è facile da far scomparire. Resistono e persistono. Richiamano l’attenzione, ci fanno passare ore a sperare e giorni a lamentarci.

In fin dei conti però quest’anno potrebbero anche essere un bene, visto che ai bar si parla di vaccini e che le osterie non sempre se la passano bene.

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