I tre anni di Cristiano Ronaldo alla Juventus sono stati un fallimento
L'attaccante portoghese ha detto ai bianconeri che se ne andrà altrove. Lascerà una squadra peggiore di quella che aveva trovato nel 2018, quando prosperava la favoletta del “farà bene a tutto il calcio italiano”
Premessa. Come categoria dobbiamo innanzitutto ammettere a noi stessi che la Juventus gode diffusamente di un trattamento di favore che si motiva con l'enorme popolarità del bianconero, la notevole influenza politica della famiglia Agnelli e il fatto che la proprietà del club coincide con un'azienda che possiede un forte gruppo editoriale e ne sfama di pubblicità numerosi altri, evidentemente bisognosi di mantenersi a galla in questi tempi di vacche magrissime. Nulla di clamoroso e nulla di nuovo, essendo già capitato anche con la Fininvest e il grande Milan, la Pirelli e l'Inter di Moratti o i giornali di Urbano Cairo e l'attuale Torino. Ma Cristiano Ronaldo ha peggiorato la situazione: in questi tre anni è stato scritto e sostenuto prima l'improbabile e poi direttamente l'impossibile, anche a causa della nostra innata provincialità che ci ha mandato “in cimbali” – espressione bellissima, di un giornalismo da macchina da scrivere che non c'è più – al pensiero che il Re avesse scelto noi, proprio noi, come umili sudditi a rendergli omaggio con la faccia sotto i suoi piedi.
Fabrizio De André era stato fin troppo ottimista: in questa storia di amore perduto che forse non è mai iniziato, non resta nemmeno qualche svogliata carezza, figuriamoci un po' di tenerezza. Quello fa venire il suo agente a Torino e comunica (chissà con quale tatto) che non ha più intenzione di giocare per loro; quegli altri gli dicono di portare qualche offerta, possibilmente con parecchio denaro sonante, e togliersi dai piedi. Tutta la narrazione faticosamente impalcata per tre anni viene smontata in queste ore dalle indiscrezioni a mezzo Twitter, secche come note d'agenzia, prive di sentimento, svuotate di tutta la retorica che ci siamo auto-inflitti da luglio 2018. Uno sprofondare dolente come il video di No Surprises dei Radiohead, con Thom Yorke impotente mentre si lascia sommergere lentamente dall'acqua. Manteniamo allora anche noi l'asciuttezza che avremmo dovuto conservare fin da principio, e scriviamolo chiaro e tondo: i tre anni di Cristiano Ronaldo alla Juventus sono stati un fallimento su tutta la linea.
Il fallimento tecnico
L'operazione Ronaldo, fortemente avversata da Marotta che infatti è il primo a levare le tende dopo pochi mesi, nasce per placare un'ossessione agnelliana: la maledetta Champions League. Dopo le due sconfitte in finale nel 2015 e nel 2017, pochi mesi prima la Juventus è stata ghiacciata a domicilio da due pezzi di bravura di CR7: in particolare il secondo gol, la memorabile rovesciata del momentaneo 0-2, rimbomba ancora nelle tempie dei tifosi. La settimana successiva, la beffarda eliminazione del Bernabeu suggellata ancora da un rigore di Ronaldo al 97' convince la proprietà che il portoghese è l'unico tassello mancante per mettere le mani sulle Grandi Orecchie. Non sarà così: la Juve non si avvicina nemmeno alle semifinali ed esce con Ajax, Lione e Porto, tre squadre che non giocano nei top 4 campionati europei. I due scudetti 2019 e 2020 vengono celebrati con indifferenza fino a cacciare i due allenatori che li avevano vinti, perché l'animale che la Juve si porta dentro si mangia tutto il resto. La Signora cerca di cambiare, di adeguarsi al suo fuoriclasse: prende Sarri e lo rigetta dopo pochi mesi, promuove un improvvisato come Pirlo scoprendo che trattasi di errore madornale, nel frattempo si impoverisce in difesa, a centrocampo e pure in attacco, dove Ronaldo cannibalizza Dybala (fiaccato anche dagli infortuni) e accentra pesantemente la manovra. Al netto dei 101 gol in tre stagioni, 29 su rigore (CR7 ha sempre fatto molto bene i propri interessi), nel triennio di Ronaldo la Juve ha vinto meno che nel triennio precedente: due scudetti contro tre, una coppa Italia contro tre, zero semifinali di Champions contro una finale.
Il fallimento economico
È vero che in questi tre anni la Juventus ha incrementato il fatturato, è cresciuta sui social e nelle sponsorizzazioni e ha fatto un salto di qualità internazionale come appeal, ma a che pro? I bilanci si sono gonfiati e ingolfati come la proverbiale rana di Esopo e le operazioni fantasiose non si contano, dall'affaire-Rovella con il Genoa allo spericolato scambio Pjanic-Arthur con un Barcellona conciato ancora peggio di lei. Se è stato piazzato qualche buon colpo isolato, comunque non certo al risparmio (De Ligt, Chiesa, McKennie che peraltro è anche lui sulla lista dei partenti perché uno dei pochi con cui si riesce a fare cassa), la carestia e il Covid hanno portato a operazioni francescane come il recente richiamo all'ovile di Perin, Rugani e De Sciglio o il simbolico acquisto di Ramsey. I cambi dirigenziali degli ultimi mesi e il profondo restyling consigliato dalla famiglia dopo il definitivo pastrocchio della Superlega chiamano in causa direttamente Agnelli, che nell'ebbrezza di essere il proprietario di Ronaldo non ha fatto bene attenzione agli amici di cui si circondava, scaricando Ceferin con modalità da commedia all'italiana e saltando trionfalmente sul carro di Florentino Perez, che ad aprile piangeva miseria e oggi è lì che continua a rilanciare su Mbappé, mentre la Juve ha faticato anche a comprare Locatelli. Soprassediamo su dirigenti dal ruolo incomprensibile come Pavel Nedved, che da mesi è lì solo per fare figuracce: appena domenica scorsa aveva confermato Ronaldo in diretta tv (“Va via? Assolutamente no”), e del resto a maggio aveva dichiarato che Pirlo “rimane certamente”.
Il fallimento mediatico
Il più doloroso. Il piano prevedeva che Ronaldo diventasse il simbolo di una Juventus più moderna, più europea, meno speculativa, insomma più sexy, passando dalla Champions League (maledetta, sempre lei) ma non solo. Invece Cristiano non si è mai sforzato di imparare l'italiano né di diventare uomo-squadra - ma questo bisognava aspettarselo, dato che vive talmente fuori dal mondo e oltre le regole che non è mai riuscito a diventarlo in nessun luogo. Media compiacenti hanno smorzato i suoi numerosi fuori pista, dalla querelle giudiziaria per il presunto stupro della modella Kathryn Mayorga alle violazioni della quarantena e della zona rossa, le illazioni familiari sui premi non vinti, i ripetuti gesti di insofferenza verso compagni e allenatori, il gestaccio verso i tifosi dell'Atletico Madrid nella sua unica grande notte da re in bianconero, la grande illusione del 12 marzo 2019 quando aveva rimontato praticamente da solo i colchoneros di Simeone. Certamente la Juve ha fatto poco per essere all'altezza di uno dei primi cinque calciatori di tutti i tempi, numeri e palmares alla mano; ma Cristiano ha trattato la Juve come una sua dépendance, un'azienda succursale inferiore alla propria. Infine l'ultimo schiaffo: tenere la Juventus sulla corda fino al 26 agosto. Tanto, quei 783 gol in carriera non sono stati segnati con lo stile, che c'entra poco anche nel racconto delle sue cinque Champions League e dei cinque Palloni d'Oro. Ci sono anni di lavoro, tenacia, persistenza, una testa da alieno, un fisico sovrumano: l'eleganza può aspettare. Così come ha aspettato lui, tutta l'estate, che si manifestasse un'offerta degna del suo status.
Al 27 agosto 2021 siamo all'assurdo che in parecchi sostengono che da oggi la Juve, finalmente sbarazzatasi di Ronaldo che è andato al Manchester United, sia diventata più forte tecnicamente ed economicamente. È un assurdo solo apparente: probabilmente è proprio così, del resto è proprio questa la certificazione di un flop. Eppure anche oggi viene assai usata la sordina assolutrice: “In fondo la Juve potrà risparmiare 60 milioni lordi di ingaggio anticiperà di un anno il processo di ricostruzione e così andrà su Kean e Scamacca”, pietose bugie che mascherano un fallimento bilaterale, come certe sciagurate trattative politiche che alla fine, quando implodono in due secondi come un brutto castello di carte, lasciano tutti più spazientiti, più infelici e più incazzati al pensiero di tutto il tempo sprecato per nulla. In Italia Ronaldo non lascia eredi, non lascia solchi da seguire, ma solo un individualismo sempre meno sopportabile. Il suo ultimo pallone toccato in Italia è il gol annullato per cinque centimetri a Udine: triste metafora di una festa fatta troppo in anticipo. Lascia una Juve peggiore di quella che aveva trovato nel 2018, quando prosperava la favoletta del “farà bene a tutto il calcio italiano”. Un calcio italiano che difatti, prima di salutare il suo Re Nudo, in una sola estate ha perso Lukaku, Donnarumma, Hakimi, De Paul eccetera.
C'è molta acrimonia in queste righe, è vero: in alcuni passaggi sembra quasi di sentire un sottofondo di pernacchie. Un sentimento comprensibile verso chi era atteso a ben altri traguardi, strombazzati con una boria che poteva presagire solo sventure. E questa è la morale che riesce a sopravvivere al calcio più scialacquatore di sempre: si può essere inadeguati anche se ci si chiama Juventus, anche se ci si chiama Cristiano Ronaldo.