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L'effetto che fa (al Milan) il ritorno di Ibrahimovic

Giuseppe Pastore

C'è ancora spazio per l'attaccante svedese nella squadra di Pioli? I rossoneri dovrebbero augurarsi di no e guadagnarne al futuro con serenità. Eppure tutti i tifosi sono ancora lì ad augurarsi che Zlatan torni a giocare e a segnare con continuità

Ma ancora con Zlatan Ibrahimovic? Un fantasma buono agita la pausa Nazionali di un Milan soggetto a sbalzi d'umore più di un personaggio di Euphoria: felice per l'inizio di stagione da sei punti in due partite ma preoccupato per l'imminente striscia Lazio-Liverpool-Juventus, ansioso per il desideratissimo ritorno in Champions League dopo sette stagioni infernali ma terrorizzato dalla prospettiva concreta di perdere ancora a zero il terzo titolare in sei mesi, con Kessié che al momento – al momento – sembra intenzionato a svuotare nottetempo gli scaffali seguendo l'esempio di Donnarumma e Calhanoglu, come fanno gli inquilini in affitto in preda al disagio esistenziale, lasciando il padrone di casa con un palmo di naso.

Un giorno toccherà addentrarsi con calma nelle pieghe di questo fatto che uno dei club più prestigiosi al mondo sembra impotente di fronte alle lune dei suoi migliori giocatori (e procuratori): la proprietà non può e non vuole fare il passo più lungo della gamba ma accetta più o meno passivamente di risolvere ogni questione spinosa nel peggiore dei modi possibili, in un bagno di sangue. Completamente all'opposto di questa filosofia assai ben definita – una rosa giovanissima, innesti mirati e funzionali da Saelemaekers a Tomori passando per Brahim Diaz, una specie di Moneyball rossonero che comprende anche un abbozzo di programmazione futura, che negli ultimi giorni di mercato si è concretizzata per esempio nell'acquisto “in prospettiva” del francese Adli – dicevamo, completamente all'opposto sta Zlatan Ibrahimovic. Più totem che mai, ostinatamente uguale a sé stesso e nient'altro, con la solita familiare retorica dei leoni e dei guerrieri, Ibra pretende ancora di essere preso sul serio. Ha taciuto per tutta l'estate, vittima di un infortunio un po' misterioso che all'inizio sembrava poca roba e invece, complice anche l'intervento chirurgico, lo tiene fermo ai box da inizio maggio. Ora è prevedibile che torni a ruggire i suoi tradizionali proclami autunnali, indifferente a un'asticella sempre più alta: la pressione di uno scudetto quantomeno “attaccabile” a differenza dell'anno scorso, un girone di Champions durissimo e la concorrenza sleale del suo amico e nemico Father Time che il prossimo 3 ottobre farà rintoccare il pendolo dei quarant'anni.

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L'arrivo di Giroud, subito integrato molto bene nello spogliatoio e nella Serie A, gli toglie la pressione di dover “essere Ibra” il prima possibile, ma gli porta via anche un po' di quel diritto di vita e di morte che esercitava sugli spauriti pargoletti che lo circondavano in spogliatoio dodici mesi fa, fino a diventare una specie di assistente-ombra di Pioli seguendo il consolidato schema poliziotto buono-poliziotto cattivo di decine di serie tv. Invece, solo negli ultimi tre anni, Giroud ha vinto un Mondiale e una Champions League, traguardi che Zlatan non ha sfiorato nemmeno di striscio, il che conferma la giusta intenzione del Milan di pensare già all'oltre-Ibra (e ci mancherebbe altro), come aveva più o meno felicemente iniziato a fare già nel girone di ritorno dello scorso anno, trovando la quadra proprio sulla sirena con le due decisive vittorie di Torino e Bergamo in cui Zlatan fu marginale, o non ci fu affatto. Senza dimenticare che da metà febbraio in avanti ha segnato un solo gol, con teatrini più o meno volontari (l'escursione sanremese, il derby di coppa Italia, l'espulsione di Parma) che hanno minato la serenità di un Milan alle prese anche con decine di piccoli infortuni muscolari, eredità di una preparazione estiva leggera fino all'inesistenza.

La facile tentazione giornalistica di comporre una delle abbinate più calcisticamente sexy del calcio contemporaneo si scontra insomma con la realtà e anche col fatto che, esaminate con attenzione le carte d'identità dei due galli nel pollaio, sarà altamente difficile che possano fare coppia fissa (e casomai pestarsi i piedi) per troppe partite. Al momento Ibra + Giroud sembra più una lussuosa soluzione da ultimi venti minuti, mollati i pappafichi e ordinato l'assalto all'arma bianca a suon di palloni alti in mezzo all'area. Pur rinfrancato da due anni di ottimi risultati, Pioli non sembra possedere l'ampio respiro che serve per immaginare un Milan radicalmente diverso da quello attuale, già dotato di molti giocatori duttili (compreso l'ultimo arrivato Messias, che sospettiamo si rivelerà molto utile a lungo termine).

 

Per molti motivi assieme all'Atalanta il Milan pare la squadra più “europea” del nostro calcio, per il suo grande dinamismo, la velocità di verticalizzazione, la dedizione alla causa della riaggressione e riconquista del pallone nella metà campo opposta, anche sul 4-1 contro un Cagliari ormai al tappeto. Tutte cose da rivalutare contro avversari di maggior calibro, e per un allenatore sottoporsi in questo momento al filotto Sarri-Klopp-Allegri nel giro di una settimana è la più eccitante delle sfide. Così il Grande Atteso del Milan 2021-2022 sembra più che altro l'insospettabile Rafael Leao, per cui Pioli ha speso parole di elogio non banale (“è totalmente maturato rispetto all'anno scorso”) e anche perché trattasi pur sempre di investimento da 25 milioni più bonus, ripagato fin qui solo in modesta parte.

Ma già lo sappiamo che alla fine non avremo occhi che per Zlatan Ibrahimovic, sognando l'ennesimo record che prolunghi la nostra adolescenza lunga ormai in modo inquietante, rinfocolata anche da operazioni bislacche tipo Ribery alla Salernitana. Segnala ancora, Ibra! Un gol in Champions – uno solo – gli varrebbe il primato di marcatore più anziano della storia della competizione, detenuto dal norvegese Willy Olsen che nel 1960, con la maglia del Fredrikstad, segnò un gol all'Ajax a 39 anni e 7 mesi. La sua sfida personale a tutti i limiti e barriere, sinceramente poco adatta a uno sport di squadra, manterrà sullo sfondo la domanda inevitabile: in questo Milan che va via via sempre più raffinandosi, c'è ancora spazio per Ibrahimovic? I rossoneri dovrebbero augurarsi di no e guadagnarne in serenità, che è poi il modo migliore per vivere anche la più passionale delle relazioni. Per citare una recente frase di un noto attore comico che a sua volta stava mascherando un'altra citazione, negli ultimi due anni a Milanello hanno dovuto misurare il proprio tempo solo in due modi: con Zlatan e senza Zlatan. Ma adesso è stata data una rinfrescata al parco orologi, e il tempo del Milan ha ripreso a scorrere con maggior limpidezza e precisione.

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