Mourinho torna a far paura alla Serie A
La Roma è prima in campionato a punteggio pieno. Tre giornate non bastano per fare pronostici compiuti, ma qualcosa nei giallorossi è cambiato. E Mou dice “sono tornato bambino” dopo una corsa mazzoniana sotto la Sud: romanismo puro
Sintesi efficace di un amico romanista: “Partite come Roma-Sassuolo ero abituato a perderle 90 volte su 100, e a pareggiarle 9 volte su 100”. L'un per cento che fa la differenza arriva praticamente all'alba della gestione Mourinho, che non aspettava altro, sudato e felice come un bambino, fiero della sceneggiatura perfetta di una partita “che poteva finire anche 7 a 7” e lascia un portone spalancato anche ai suoi storici detrattori, che gradiranno molto soffermarsi su indiscutibili colpi di fortuna (il palo di Traoré, i due gol annullati per centimetri, gli errori di Berardi e Boga a tu per tu con Rui Patricio) per distogliere la propria attenzione dal mosaico intero. E cioè che la Mou-Roma ha vinto cinque partite su cinque, è prima a punteggio pieno, +3 sulla Lazio, +8 sulla Juve e rispetto alla concorrenza, già attanagliata dalle Coppe, è attesa per tre mesi dalla molto più riposante Conference League.
Proprio la frase del 7 a 7 merita una prima riflessione, perché siamo cresciuti e invecchiati con l'immagine del Mourinho ineffabile autista di pullman di grossa cilindrata parcheggiati in piena area di rigore, a bloccare qualunque velleità altrui prima di preoccuparsi di quelle della propria squadra: i suoi piani gara di smisurato cinismo, direttamente proporzionale all'ingrigirsi dei capelli, avevano seminato fastidio, frustrazione e infine – citando un grande romano e devoto mourinhiano – noia, noia, noia. Un Mourinho entusiasta di una partita da dieci o dodici gol potenziali ci porta a chiederci se sia davvero cambiato, se sia diventato più buono e gentile e pacificato come proclama da anni, o se non lo faccia – da splendido manipolatore qual è – per lisciare il pelo a un popolo cresciuto nel mito di allenatori più belli che vincenti, da Liedholm a Zeman, e abituato a inseguire chimere oltre il raccomandabile. Allenasse la Juventus, per dire, avrebbe dichiarato le stesse cose? Ci crediate o no, Mourinho che dice “sono tornato bambino” dopo una corsa mazzoniana sotto la Sud è romanismo puro, nel bene e nel male, nella purezza e nella retorica, e dunque abbiamo una notizia: di tutte le squadre che hanno cambiato allenatore quest'estate, il portoghese è il primo ad avere già trovato la password per entrare nella testa del nuovo ambiente.
Tre giornate non bastano per fare pronostici compiuti. Persino l'ultima Roma scudettata – quella di Capello Totti Cafu Samuel Batistuta Montella eccetera, insomma decisamente più forte di questa – era partita malissimo, eliminata in coppa Italia dall'Atalanta e pesantemente contestata a Trigoria, e aveva proceduto a fari spenti per almeno mezzo girone d'andata prima di svelare le carte. Partite come Roma-Sassuolo espongono in modo spettacolare i pregi e difetti della squadra: un parco offensivo pieno di stelle filanti tutti in possesso della giocata individuale spacca-partita (l'arcobaleno della super-riserva El Shaarawy ne è dimostrazione spettacolare), ma anche una difesa troppo leggera sotto ogni punto di vista e un centrocampo privo di un vero cervello in grado di dettare i tempi e governare la barca per esempio nella mezz'ora finale di ieri, quando il Sassuolo aveva preso la poco simpatica abitudine di filare dritto in porta con due passaggi. È anche il caso di ricordare che nel “primo mondo” del calcio Mourinho è considerato un allenatore tatticamente sorpassato, quantomeno al cospetto dei pesi massimi della categoria, e difatti – a parte il test con l'impresentabile Salernitana – nelle due partite contro Fiorentina e Sassuolo è sembrato a lungo farsi incartare da Italiano e Dionisi (non a caso riempiti a fine partita di complimenti da vero volpone). Però le ha vinte, e nel file Serie A che Mourinho ha conservato intonso per oltre un decennio c'è scritto molto chiaramente: in Italia, il risultato è tutto.
Così Mourinho procede, sale di tono, torna a far paura in questo campionato senza padroni. Dopo il fragoroso flop al Tottenham dev'essersi accorto di aver imboccato la parabola discendente di una carriera abbagliante, così per la molto ben pagata nuova avventura si è fatto andar bene un mercato incompleto in cui ha dovuto fare i conti con l'uscita di scena di due titolari come Spinazzola e Dzeko, oltre che con le abituali ristrettezze post-Covid. Nessuna polemica, nessuna allusione, tanta bonomia romanesca come nemmeno il Claudio Ranieri più nazionalpopolare. Attorno a lui, invece, impera lo stress già alla terza giornata: Allegri litiga con Spalletti, Sarri si fa espellere a San Siro, Gasperini se la prende con arbitri e società, Inzaghi ha già lo sguardo affannato nella centrifuga Inter... Dov'è il trucco, José? Con ogni eventualità lo scopriremo tra due settimane, quando il calendario dirà derby: se ha imparato come funzionano i romanisti – e l'ha imparato, l'ha imparato – dopo i fuochi d'artificio del 91' di Roma-Sassuolo, aspettiamoci i primi approcci di guerra termonucleare calcistica. José Mário dos Santos Mourinho Félix, per brevità chiamato Mou, è sempre stato un formidabile uomo di spettacolo.