Corsa nei ricordi
Netflix apre una finestra sulla vita di Michael Schumacher
Il documentario prodotto dalla piattaforma racconta il campione di Formula 1 ed è stato fortemente voluto dai suoi familiari, che non parlano dal 2013, quando il Kaiser rimase vittima di un grave incidente sugli sci a Méribel
“Se non ce la metti tutta, non ne esci vincitore”. Nello sport, così come nella vita. Michael Schumacher, tra i piloti più vincenti della storia di Formula 1, lo sa benissimo. Sette mondiali vinti, cinque consecutivi, 91 successi in gara, 68 volte partito dalla pole position. All’uomo che riportò la Ferrari alla vittoria dopo oltre 20 anni di attesa è dedicato il documentario di Netflix “Schumacher”. La produzione, che alterna video di repertorio a filmati inediti, è stata fortemente voluta dai familiari del Kaiser, che non parlano delle sue vicende dal 2013, quando il campione rimase vittima di un grave incidente sugli sci a Méribel, in Francia. Presenti, oltre ai familiari, alcuni ex colleghi (tra cui il rivale Mika Hakkinen) e amici.
Quando esce il documentario su Schumacher?
Dal 15 settembre è disponibile su Netflix. Dura all'incirca un'ora e quaranta.
Come sta Michael Schumacher? È sveglio?
Chi si aspettava di trovare novità (o rivelazioni esclusive) sulla salute del sette volte campione iridato, resterà deluso. La famiglia, molto presente nel documentario, si limita alle solite dichiarazioni di sostegno e fiducia, lasciando però poco spazio alla speranza di rivedere Schumacher con l’energia di un tempo. “È davvero forte mentalmente – dice la moglie Corinna – me lo dimostra ogni giorno. Stiamo insieme, facciamo la terapia, facciamo tutto il possibile per far sì che Michael migliori e stia bene, per fargli sentire che la sua famiglia è vicina, e io farò tutto il possibile, qualsiasi cosa accada. Lo faremo tutti. Cerchiamo di andare avanti come una famiglia, come piaceva a Michael e come gli piace ancora”.
Come sta vivendo la famiglia Schumacher la vicenda umana di Michael?
Gli affetti della leggenda ferrarista sono la cornice in cui procede la narrazione del documentario. La compagna di una vita entra in scena dopo soli venti minuti, spesso si commuove ricordando la forza del marito. Se un tempo a proteggere lei e i figli Mick e Gina-Maria, ora sta a loro fare lo stesso: “Il privato è il privato, diceva lui. Per me (a parlare è Corinna, ndr) è molto importante che lui possa continuare a godersi la sua vita privata il più possibile”. Il ricordo indugia su alcuni momenti: “Era sempre molto premuroso con me – continua – quando eravamo a casa, e Michael doveva andare via presto, era silenzioso e non mi svegliava mai. Si avvicinava sempre al letto prima di andarsene, mi accarezzava il braccio, mi baciava e mi diceva “io vado”. Anche il padre Rolf, ex ristoratore, appassionato di motori e suo primo mentore, trova spazio nel racconto: dai primi mezzi di fortuna creati per suo figlio all’attività al kartodromo gestito dalla famiglia, dove Michael muoveva i suoi primi kilometri su gomma insieme al fratello Ralf. Prendevano insieme le gomme dalla spazzatura, le montavano sui kart, il Kaiser vinceva.
Mick e Gina Schumacher, tra ricordi e un presente che fa male
Nella memoria dei figli del pilota, l’immagine del padre è tra il vivido e il rarefatto. “Quando andavamo alle gare con loro e vedevamo tutto quel clamore – racconta Gina-Maria – tutte quelle persone che lo ammiravano e lo consideravano un grande, io pensavo che fosse davvero un uomo eccezionale. La parte migliore era quando tornava a casa, perché restava con noi per ore, anche se era stanchissimo. Ma non ce ne accorgevamo: eravamo solo felici di riaverlo con noi”. Quando a parlare è l’erede in pista Mick, oggi pilota in Formula 1 per la scuderia Haas, le tinte del racconto diventano dolci e amare: “Ho un gran rispetto per papà. È il mio eroe. Quando entrava in una stanza, non si sente volare una mosca. Ogni volta che lo guardo, penso tra me e me: sì, è così che voglio essere. Così tanta forza, così tanta serenità”. Poi, i ricordi d’infanzia e un desiderio maturo e impossibile: “Quando penso al passato arrivano immagini di noi quattro che ci divertiamo. Noi che guidiamo un kart sul prato, noi che andiamo in giro con i pony, tantissime fotografie che mi riempiono di gioia. E, dopo l’incidente, tutti quei momenti che molte persone vivono con i propri genitori non ci sono più stati, o sono stati molto più rari. Lo trovo ingiusto. Credo che io e papà ci saremmo compresi in modo diverso adesso. Parliamo la stessa lingua, quella dell’automobilismo, avremmo avuto molto altro da dirci. Lo penso la maggior parte del tempo. Sarebbe stato fichissimo. Mitico. Rinuncerei a qualsiasi cosa, pur di avere quella possibilità”.
Cos'è successo a Méribel? L’incidente sulla neve di Schumacher
Verso le battute conclusive del documentario trova spazio lo spartiacque della storia di Michael Schumacher, l’incidente sulle montagne di Méribel. Un episodio che, secondo il racconto del suo ex direttore ai tempi della Ferrari, Jean Todt, “cambiò completamente la vita della famiglia Schumacher, che si vide privata da un momento all’altro del suo leader, un uomo con una personalità forte, decisa. Tutto nel giro di un minuto”. “La neve non era buona, secondo Michael. Pensò: magari invece di sciare potremmo fare paracadutismo a Dubai – racconta Corinna, in lacrime – ma lui decise comunque di scendere. È stata solo sfortuna, succede anche ad altre persone. Michael mi manca ogni giorno, ma non solo a me. Ai suoi figli, alla famiglia, a suo padre… Michael manca a tutti. Eppure, è qui. È diverso, ma è qui. E questo ci dà forza”.
Come ha gestito la privacy la famiglia di Michael Schumacher?
“I miei meccanici sanno cosa pensare di me. Io mi fido al cento per cento di loro, loro di me”. Schumacher teneva molto al rapporto con il suo box. Conosceva lo staff, aveva sempre una buona parola per tutti, a volte conosceva anche le mogli di meccanici e tecnici, cercava di tenere dentro sé ogni paura o preoccupazione per non influenzare negativamente l’ambiente. Così, tutti gli altri lo supportavano al massimo. “La Ferrari era una grande famiglia: ci faceva sentire sicuri”, rivela Corinna sul periodo al Cavallino rampante. Anche i colleghi arricchiscono l’album dei ricordi. David Coulthard, ex pilota della McLaren/Mercedes, racconta: “c’è Michael, il pilota: inflessibile, veloce, determinato e competitivo. E poi c’è Michael, il padre di famiglia: ho passato molte serate con lui a bere Bacardi e cola, si fumava un sigaro… era una persona diversa. In quel momento, non c’è competizione: si sta solo insieme e ci si diverte.” E ancora Corinna: “Amava fare festa e buttare le persone in piscina. Era la "sua cosa". Non sapeva cantare bene, ma si cimentava nel karaoke: metteva sempre “My way” di Frank Sinatra, si ricordava il testo a memoria”.
Chi è stato il più grande rivale di Michael Schumacher?
Spesso il limite di Michael Schumacher era la sua ambizione smodata. Quando nel 1997 si trovò a gareggiare per il titolo mondiale contro Jacques Villeneuve, durante la gara di Jerez lo urtò e finì fuori pista. Era furioso: pensava di essere lui, quello colpito. Non era così. “Supero il limite, quel giorno. Un limite dato dalla sua dedizione, dal suo impegno. Ci mise in difficoltà”, ricorda Ross Brawn, suo direttore tecnico in Benetton e Ferrari. La Federazione, dopo il fatto, lo squalifico dal campionato: fu la prima volta di sempre. Solo a quel punto il Kaiser fu costretto ad accettare di aver sbagliato, assumendosi (pur riluttante) le responsabilità delle sue azioni. Anche Mark Webber, ex pilota Red Bull di Formula 1, racconta: “Michael superava il limite anche quando non era necessario. Alle qualifiche era già in pole, aveva già nel sacco la vittoria, era impegnato nel duello con un altro pilota ed esagerava. Aveva una paranoia della perfezione. Doveva sempre fare di più, come a dimostrarsi qualcosa. Molte volte, gareggiava solo contro di sé. Si chiedeva: cosa posso dimostrarmi di più? Come posso distruggere i miei rivali? Come posso continuare a essere il numero uno?”.
La rivalità di Michael Schumacher e Ayrton Senna
Quando nel 1991 Michael Schumacher approda alla scuderia Benetton (con cui il pilota tedesco vinse i suoi primi due titoli mondiali) Senna ha appena vinto il suo terzo titolo iridato. Tutti amano il pilota brasiliano, una leggenda vivente, tutti quelli che si avvicinano a questo sport vogliono essere lui. Lo stesso Schumacher, racconta Flavio Briatore (ex direttore esecutivo della Benetton), aveva un poster di Senna in camera, da giovane. Di questa rivalità parla anche l’ex patron della Formula 1, Bernie Ecclestone: “Schumacher era un signor nessuno che sfidava il meglio del meglio”. Le prime scintille tra i due, dopo alcuni screzi, arrivano nel 1992, al Gran Premio di Magny-cours, in Francia: Schumacher attacca Senna, lo tampona e lo elimina dalla corsa. Il brasiliano gli parla nel paddock, prova a metterlo in riga. “You fucked it up”, gli dice a brutto muso. Secondo Ross Brawn, Senna aveva capito che “un altro leone era entrato nel suo territorio”. Nel 1994, al Gran Premio di San Marino, Imola, Schumacher arriva in vantaggio sul brasiliano, che ha la pressione dalla sua. Sa che deve vincere a ogni costo per accorciare il gap in classifica. In gara, l’asso della Williams precede il giovane talento tedesco. Ayrton, però, va dritto alla curva Tamburello. Sarà la sua ultima gara. Schumacher vince. Scoprirà la sorte del rivale solo ore dopo. Divenne insonne. Quando qualche giorno dopo fa un giro di ricognizione a Silverstone, in occasione del Gran Premio. Racconta: “Ho iniziato a guardare ogni curva con occhi diversi. Mi dicevo: qui potrei morire, qui potrei morire, qui potrei morire…”.
Quale parte della carriera di Michael è raccontata in “Schumacher”?
Gli autori del documentario puntano la loro lente sulle fasi iniziali e centrali della carriera di Michael Schumacher, lasciando poco spazio alla seconda parentesi, quella del ritorno con la Mercedes. Si va dall’esordio del 1991 (a Spa, in Belgio) con il settimo posto in qualifica con la macchina della Jordan al primo successo, l’anno successivo, sempre a Spa ma con la Benetton, fino all’approdo in Ferrari. Proprio al binomio tra il tedesco e il Cavallino Rampante è dedicato gran parte del documentario di Netflix, ma ai successi è lasciato poco spazio. Ciò che interessa alla produzione è la sofferenza del campione, il peso del riportare ai fasti del passato la scuderia più iconica del Circus. “Aveva vinto con kart e gomme usate – dice Will Weber, storico manager di Schumacher – perché non doveva riuscirci alla Ferrari?”. Quando nel 1996 approda alla Rossa su indicazione di Niki Lauda, allora scout della squadra, la macchina è poco competitiva e fragile. L’ostinazione di Schumacher, però, lo porta a restare anche la sera tardi insieme ai meccanici, pur di cercare di risolverne i problemi. Riuscì a vincere, sul bagnato, la gara di Barcellona, un’impresa che sembrava impossibile. Dopo anni di difficoltà, quando i dubbi sulle qualità del tedesco iniziavano a serpeggiare, il successo mondiale del 2000. Da lì, racconta l’ex commentatore di Formula 1, James Allen, “il grande fardello che aveva sulle spalle sparì. Non si sentiva più in debito con nessuno, aveva donato alla Ferrari il campionato che voleva da più di vent’anni. Da allora, guidò libero, con il cuore, la passione, un senso di pace, come dire: faccio quello che amo, non devo nulla a nessuno”.