Viaggio nel mistero dell'Italia del volley che vince gli Europei
La vittoria contro la Slovenia non è tutto merito del nuovo ct De Giorgi, come l'eliminazione olimpica non fu colpa soltanto dei senatori. Quel filo sottile che unisce fallimenti e vittorie
E allora ditelo, scrivetelo, urlatelo. Toda gioia. Estate infinita. L’onda lunga dell’allegria travolge anche l’Italvolley, che conquista l’Europeo contro la Slovenia. Lo fa con l’età media più giovane della competizione, con un ct nuovo di zecca, con molti giocatori inesperti, o almeno non abituati a quel tipo di pressione. Chi ha commentato la partita in tv lo ha dovuto ripetere a più riprese, una sorta di esorcismo da finalissima: “Sono ragazzi”, “Molti non sono abituati a questo tipo di gare”.
Erano le fasi iniziali del match, quelle in cui si temeva e si tremava. Di paura allora si è occupato Fefé De Giorgi. “Vi posso dire una cosa?” ha detto il ct azzurro ai suoi giocatori durante un time-out “Stiamo giocando la finale dell'Europeo, adesso siamo punto a punto e vi vedo con queste facce che non si possono guardare. Siete impauriti perché 'è difficile, eh, 'sta partita'. Ma che vi aspettavate?”. E’ nato lì il successo azzurro.
Alla lista delle domande fondamentali dell’uomo (chi siamo? dove andiamo?), l’uomo sportivo ne aggiunge di nuove e altrettanto affascinanti: come nasce un successo? Da che cosa? Il bello dello sport, come nella filosofia, è che lo spettro delle risposte è più ampio del visibile. Vale tutto, e tutto si tiene. Mauro Berruto, per esempio, uno che di successi, gioco e pensiero se ne intende veramente, di quest’Italvolley ha saggiamente scritto: “Un’Italia meravigliosa, fatta di ragazzi che giocano per la scritta che portano sul davanti della maglia e non per quella sulle spalle. Un’Italia dove conta la squadra e basta”. E il talento del singolo, quello quanto conta? E l’organizzazione? E la fortuna? In questa estate in cui il caos ha partorito ben più di una stella danzante, quello dell’Italvolley è forse il mistero più grande di tutti. Troppo facile, banale, persino ingiusto rinnegare il passato, dire che il merito è tutto di De Giorgi, che i senatori (Zaytsev e Juantorena, per dire) se ne dovevano andare, che serviva il ricambio, il rimescolamento, il rinascimento, il friccicorio di quelli nuovi, giovani e belli. Dietro c’è di più.
In una delle puntate di “Sogno Azzurro”, la mini serie andata in onda prima delle partite degli Europei di calcio, in molti hanno sottolineato come la nazionale del ct Mancini, come “il suo gruppo” (ps.: ma che cos’è il gruppo?) fosse nato dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018. Serviva un riscatto. E dell’Italvolley femminile è stato detto lo stesso dopo la conquista dell’Europeo: le azzurre volevano riscattare l’eliminazione dall’Olimpiade. Affinità elettive. Comuni anche ai ragazzoni del volley e alla loro impresa a Katowice: anche loro cercavano un riscatto, anche loro cercavano un’impresa da cui rinascere dopo l’amarezza dei Giochi.
Sono le grandi sconfitte che ci permettono di inseguire la gloria. Lo ha fatto Gimbo Tamberi nel salto in alto, lo hanno fatto Tortu e Jacobs nella velocità. Forse lo abbiamo fatto tutti nella vita. Ma solamente lo sport ci permette di constatarlo. “Cosa non ha funzionato a Tokyo per la Nazionale di pallavolo? Ah, saperlo... La partita che ha eliminato gli azzurri è stato un 3-2 difficile contro l’Argentina, ad alti livelli poche cose fanno la differenza”, ha detto De Giorgi parlando del dopo Blengini. Quando, prima dell’Europeo, gli hanno chiesto conto della sua Italia ibrida, fatta di volti nuovi e vecchi, De Giorgi ha risposto così: “L’Italia ha l’occasione di avviare un ciclo importante, aggiungendo mattone a mattone. Il rischio? Quello di ritrovarci in uno di quei balli in cui fai un passo in avanti, uno indietro, uno a destra e uno a sinistra in attesa di azzeccare il movimento giusto”.
De Giorgi non doveva rifondare, ma solo, lo ha detto lui, “costruire”. Niente nasce dal niente. Tutto ha una base, e anche i successi ce l’hanno. Quella dell’Italvolley non era nemmeno così pericolante, serviva solo qualcuno che sistemasse le impalcature, togliesse di mezzo qualche trave ormai instabile. Qualcuno che provasse a vedere “una parte di ricambio generazionale come un’opportunità”.
Il bisogno di riscattare i Giochi di Tokyo e l’obiettivo minimo della semifinale mancata a Tokyo hanno fatto il resto. Poi, certo, ogni percorso ha mille insidie e altrettante domande. Ma, come ha detto De Giorgi, “siamo solo all’inizio, anche se è un bell’inizio”.
Il Foglio sportivo - In corpore sano