"Preziosi vattene" era uno slogan. E ora che ha venduto davvero il Genoa cosa rimane?
La squadra durante la sua presidenza (la più lunga della storia del club) ha vissuto pochi alti e molti bassi, ma ha giocato in Serie A ininterrottamente dal 2007. Ora, che ha venduto l’intero pacchetto azionario, la città si ritrova senza il "nemico" al comando. Sarà vero?
Sarà vero? Sarà vero che ha mollato, ceduto, venduto? Sarà vero che se n’è andato, che se ne va, che se ne andrà? Sarà vero veramente, sarà vero davvero? La domanda sale come un blues dai caruggi, rimbalza come un rap nelle creuze, vola come una ballata sul porto, atterra spuntata a Marassi – sarà vero – non più interrogativa ma già, ma sempre, dubitativa, sospettosa, esistenzialista.
La notizia è trapelata ieri: Enrico Preziosi da Avellino, anni 73, da 18 e mezzo proprietario e presidente del Genoa, ha venduto la società, l’intero pacchetto azionario, al fondo statunitense 777 Partners, sedi operative a New York e a Miami, già nel calcio con il 6 percento del Siviglia, ma attivo anche nel settore dell’aviazione civile e del prestito di capitali per le “class action”. Un’operazione mille volte auspicata, sollecitata, annunciata, mille volte richiesta, desiderata, pretesa, mille volte trapelata, rumoreggiata, spettegolata, ma mai, finora, arrivata.
Il “Joker”, questo il suo soprannome, non abbandonava il suo gioco più prezioso: la più antica squadra italiana di calcio (anno di fondazione: 1893), collezionista di primati ineguagliabili, alcuni sociali (la prima squadra ad avere istituito il settore giovanile, sotto i 16 anni, nel 1902), altri turistici (la prima squadra ad avere organizzato trasferte per i propri sostenitori in pullman, nel 1906 a Milano per una soffertissima Genoa-Juventus 0-2, e in nave, per un viaggio non indimenticabile da Genova a Savona nel 1922), altri ancora sportivi (la prima squadra ad avere vinto lo scudetto nel 1898, ma anche la Coppa delle Alpi nel 1962), sempre con una vocazione internazionale forse per la sua natura marinara e mercantile (la prima squadra ad assumere un allenatore professionista, l’inglese William Garbutt nel 1912, e un giocatore professionista, l’inglese John Grant).
Anche Preziosi, da proprietario e presidente del Genoa, ha stabilito un primato: nessuno ha diretto la società rossoblù così a lungo. Entrò nel 2003: cacciò 27 milioni di euro per colmare il disavanzo che strangolava il club ed evitare il fallimento che avrebbe riportato il Grifone allo stato del dilettantismo. Cominciò dalla Serie C, fu subito promosso in Serie B, l’immediata successiva promozione in Serie A si tramutò in una nuova retrocessione in Serie C per illecito sportivo. Uno scandalo: un dirigente del Venezia venne fermato dalle forze dell’ordine con un contratto di cessione del giocatore Rubén Maldonado al Genoa e una busta contenente 250mila euro in contanti. Per l’accusa: la prova di una “combine”. Per la difesa: l’anticipo per l’acquisto del difensore paraguaiano. Per la Procura di Genova: frode sportiva. Morale: Genoa condannato alla retrocessione in C e presidente inibito a ricoprire cariche istituzionali fino al 2010.
Da allora il Genoa di Preziosi (anche dei Preziosi: lui e i suoi figli) ha vissuto pochi alti e molti bassi, ma abita in Serie A ininterrottamente dal 2007.
Il meglio nel 2008-2009, quinto posto in classifica e accesso alla Europa League, e nel 2014-2015, sesto posto in classifica ma escluso dalle coppe europee per il mancato ottenimento della licenza Uefa (in entrambe le annate la squadra era diretta da Gian Piero Gasperini).
Il peggio con tre quartultimi posti, angosciose salvezze raggiunte all’ultimo istante dell’ultima partita. E sempre uno stato di agitazione, un clima di tensione, un’atmosfera di contestazione tra tifoseria e presidenza. “Preziosi vattene” è diventato uno slogan, un ritornello, una formula per prendere le distanze da chi – questa l’accusa – gestiva la società per fare soldi.
Già: acquisti e cessioni. Preziosi si scatenava. Secondo le graduatorie di Transfermarkt dei ricavi e delle spese in Serie A negli ultimi 10 anni, il club rossoblù è fra i primi 10: presenta un saldo attivo di 212 milioni di euro. È il risultato degli incassi del periodo, dove il Grifone ha ottenuto introiti per 564 milioni di euro, piazzandosi al quinto posto, a fronte di uscite per 352 milioni, collocandosi al nono posto. Il “Joker” ha fatto grandi acquisti: da Milito a Thiago Motta, da Piatek a Shomurodov, da Perotti a Romero, da Palacio a Kucka. Ma anche grandi bidoni: e qui la lista sarebbe infinita. E poi ha venduto il vendibile. Il suo credo: la plusvalenza. Cioè acquistare a zero, a pochissimo, a poco, e rivendere a tanto o tantissimo. Per riuscirci, investire su calciatori reduci da infortuni e operazioni o su sconosciuti o su sottovalutati o su giovani cresciuti nelle proprie squadre giovanili. E anche qui la lista sarebbe infinita: da Perin a El Shaarawi, da Pellegri a Rovella, e già si parla di Cambiaso all’Inter. Un commercio-smercio di terzini e mezzali, un viavai portieri e centravanti, un andirivieni di stopper e ali che in Europa non ha eguali.
Ma a Preziosi non c’era alternativa. O lui o lui. Prendere e non lasciare. E allora prendere: prendere – solo nel comparto allenatori - i suoi abbandoni (Gasperini) e le sue infatuazioni (Malesani), le sue intuizioni (Juric) e le sue visioni (Delneri), i suoi fallimenti (Liverani) fino ai suoi ravvedimenti (Ballardini). Prendere i suoi traffici con Galliani e Lotito, prendere i suoi modi altezzosi e fumantini, prendere le sue dichiarazioni di guerra e quelle repentine di armistizi. Prendere, ancora, la sua sopravvivenza nel Consiglio di amministrazione del Genoa. Sarà vero? Sarà vero.
Più o meno Preziosi, rimane comunque il Genoa. Si ha un bel dire, ma non è una società come le altre. Ha qualcosa dentro che non viene fuori: una questione di dna, forse, un caso di sortilegio, forse, una circostanza del destino, forse. A cominciare dal suo cuore, dalla sua anima, la Gradinata Nord, così inquieta e irrequieta, capace di opporsi perfino a un allenatore umano e mite, intelligente e operaio come Osvaldo Bagnoli. Eletto fra le squadre più sfortunate della storia (con il Torino), il Genoa detiene il potere di causare attacchi gastrointestinali e garantire difese autoimmunitarie, procurare ferite umorali e infliggere cicatrici sentimentali, regalare adozioni a distanza e proporre compromessi di circostanza, ma anche donare la straordinaria capacità di saper trasformare una piccola gioia in una eterna soddisfazione. E tradurre ogni partita in elettrocardiogrammi improvvisi. Come gli ultimi cinque secondi della recente partita contro il Bologna, che hanno istantaneamente invecchiato di cinque anni gli inguaribili mugugnanti sostenitori rossoblù.