campi infangati e realtà virtuale
Solo il tempo dirà se l'invasione dei cripto-sponsor rivoluzionerà lo sport
Il calcio di tutto il mondo sta battendo sempre più convintamente la strada dei Token digitali, sul modello dell’immancabile Nba. In Italia Inter, Milan e Roma hanno già stipulato accordi milionari. Incognite e prospettive
Per come lo conosciamo da anni o decenni, il calcio ci sta sfuggendo di mano? Abbiamo la sensazione che ci stiamo perdendo qualcosa di fondamentale? Il dubbio viene nell’osservanza quotidiana, per esempio, delle partite di Inter e Roma: ma non ci riferiamo a Lautaro né a Mourinho, bensì ai due nuovissimi sponsor, Socios e DigitalBits, che fanno entrambi riferimento… a cosa? È quasi certo che, prima o poi, negli scorsi mesi vi siate imbattuti in qualche approfondito spiegone su cosa siano gli Nft (Non Fungible Tokens); è altrettanto probabile che ve ne siate dimenticati in mezza giornata. Riproviamoci: sono delle entità digitali – opere d’arte, figurine, paia di scarpe, post su Facebook, qualunque cosa – che vengono messe in vendita attraverso il sistema della blockchain. Chi li compra non ne è l’unico possessore (per definizione, un’opera digitale è replicabile all’infinito) né ne rileva i diritti d’autore (che rimangono di proprietà del “creatore” originale), ma ha la certezza di essere riconosciuto come regolare e legittimo possessore di quel singolo oggetto. Ma che se ne fa? Può vantarsene con gli amici, allo stesso modo in cui ci si fa vanto di un Gauguin in salotto, può mettersi in competizione o in società con altri collezionisti, oppure può rivenderle a prezzi più alti, dacché il mercato degli Nft, estremamente volatile, apre le prospettive più impensabili.
Così il calcio di tutto il mondo sta battendo sempre più convintamente la strada dei Token digitali, sul modello dell’immancabile Nba che possiede Top Shot, un “punto vendita” che commercializza i punti più spettacolari della lega: in home page campeggia il video di una schiacciata di Kevin Durant contro Cleveland in vendita a 3.300 dollari, ma se ne trovano anche di più costosi. Ogni Nft ha un numero di serie associato: più è basso il numero, meno esemplari ci sono, più il prezzo s'impenna. È suppergiù lo stesso meccanismo che sta dietro a Sorare, piattaforma francese che vende carte digitali di calciatori valutata 4,3 miliardi di dollari, spinta da investitori come Rio Ferdinand, Griezmann o l’immancabile Piqué, che tre giorni fa hanno contribuito a un finanziamento da 680 milioni di dollari guidato da Softbank. Su Sorare i giocatori comprano figurine digitali (con licenze ottenute da 180 squadre, in Italia al momento sono dieci) e formano team da cinque elementi con cui sfidarsi gli uni contro gli altri, sulla base dei risultati reali: se state pensando che un gioco del genere esiste già e si chiama Fantacalcio, non sbagliate. Con l’aumentare dei punteggi e il migliorare del ranking, si ha diritto ad accedere a ulteriori tornei e a possedere o comprare nuove carte-giocatori, magari sempre più rare e preziose. L’intersezione fra tre segmenti in forte crescita economica – gli Nft, le carte sportive e i fantasy game legati allo sport – ha dato origine a un giro d’affari stellare: su Sorare si vincono premi in denaro (vero) e il giro di denaro attorno alle card è valutato intorno ai 150 milioni di dollari (veri).
Solo il tempo dirà se l’invasione dei cripto-sponsor sia una trascurabile bolla di passaggio o l’inizio di una rivoluzione epocale che “costringerà” lo sport reale a fare i conti con il suo surrogato virtuale, portando a sviluppi imprevedibili di cui si faceva cenno anche nel nebuloso progetto-Superlega della scorsa primavera (leggi: fare uscire il calcio dal recinto dei 90 minuti e proporre idee nuove per attirare il pubblico giovane). In Italia la Lega Serie A sta sondando il nuovo mercato con prudenza: a maggio ha stipulato un accordo con la piattaforma Crypto.com e si è prodotta in un esperimento in occasione della finale di Coppa Italia Atalanta-Juventus, mettendo all'asta sette gruppi di Nft relativi agli highlights e alla cerimonia di premiazione, comprati per qualche centinaio di euro e rivenduti sui siti specializzati (la Lega ha incassato il 10 per cento di ogni transazione). Anche i club si stanno muovendo con la cautela del palombaro, assicurando privilegi francamente nebulosi: per esempio, negli ultimi mesi attraverso i propri Token il Milan ha dato la possibilità di scegliere il motto della squadra da piazzare negli spogliatoi o rivolgere auguri di compleanno personalizzati a Daniele Massaro.
Dal punto di vista economico, il gioco pare valere la candela: ad agosto i rossoneri hanno chiuso un accordo da 3-4 milioni l’anno con BitMEX come “sponsor di manica” e Inter e Roma hanno fatto meglio, sottoscrivendo accordi con Socios.com (20 milioni) e DigitalBits (12 milioni) come main sponsor. Il Covid ha semplicemente accelerato un cambiamento che gli inguaribili ottimisti dipingono come inevitabile, ma che più realisticamente potrebbe essere un tentativo un po’ spannometrico di sopravvivere alla Grande Depressione Calcistica degli ultimi 18 mesi, che solo adesso – con la ventilata riapertura degli stadi al 75 per cento e presto al 100 – sembra allentare la morsa. Altro arriverà; si tratta di strategie necessarie ma imperscrutabili in un paese in cui si fa fatica a capire se i ritardi delle partite siano colpa delle infrastrutture Dazn o delle vetuste connessioni Internet di buona parte del territorio (spoiler: entrambe le cose). La perplessità di noi boomer è legata soprattutto al carattere profondamente immateriale dell’intera faccenda; per esempio, non è del tutto chiaro chi possa essere – per usare un’espressione cardine dell’ultimo ventennio di società italiana – l’utilizzatore finale degli Nft. Pure, gli entusiasti ricordano che anche invenzioni debordanti come Facebook hanno iniziato sotto forma di passatempo da campus.