Il caso
Tra crisi e Falcao. Il Rayo Vallecano è il paradosso del calcio spagnolo
La terza squadra di Madrid è reduce dalla settimana più brillante della sua storia sportiva. Eppure domenica l’intera comunità scende in piazza contro la dirigenza. Storia di due logiche incompatibili
Immaginate di tifare una squadra di quartiere e che da un giorno all’altro boom, il vostro presidente vi regali uno dei migliori attaccanti dell’ultimo decennio, sia pure 35enne: “L’età è solo un numero”, parola di Ibra, e Radamel Falcao sottoscrive. Qualsiasi piazza del mondo andrebbe in visibilio. La gente di Puente de Vallecas, sudest di Madrid, invece si incazza. A partire da una cerimonia di presentazione surreale: sul palco il goleador colombiano, vicino a lui un uomo che ogni volta che prova a prender parola viene sommerso dai fischi. O dai cori: “¡Presa vete ya!”, vattene Raul Martin Presa. Quell’uomo è il patron del Rayo Vallecano – e tante grazie per il super acquisto.
Ma c’è di più. La storia di Falcao che torna a Madrid otto anni dopo i gol a grappoli con l’Atletico, sceglie un atipico numero 3 in onore del padre e sogna un posto al Mondiale in Qatar, poteva sembrare la solita pappa per cultori della garra charrua, quella narrativa sudamericana applicata al calcio tanto antipatica al nostro Jack O’Malley. Invece, tempo una settimana, il vecchio campione ha già fatto capire di non essere volato in Spagna a svernare. Due reti in due spezzoni di partita, 35 minuti in totale: la prima di potenza, davanti ai suoi nuovi tifosi, con tanto di bacio allo stemma – così magari prende punti: loro di per sé non hanno nulla contro di lui; la seconda tre giorni dopo a Bilbao, un’incornata al 96’ che regala al Rayo un posto in Champions per una notte. Sia pure alla sesta giornata di Liga, con una o due partite in più rispetto a molte avversarie. Ma anche così, la neopromossa con una saetta per simbolo non era mai stata così in alto nel corso della sua quasi centenaria storia. Reazione di Vallekas – chi vive lì ci tiene a scriverlo con la kappa: domenica 26 settembre tutti a manifestare prima della partita casalinga con il Cadice. “Contro Presa”, si legge sui volantini in giro per il barrio, “per mostrare il rifiuto del Rayismo da parte di una gestione societaria disastrosa. E per tornare a sentire l’entusiasmo”.
Non è schizofrenia, ma l’apice di un confronto fra due logiche incompatibili. Eppure, quando nel 2011 Presa ottenne il 97,82 per cento delle azioni del club, salvò il Rayo Vallecano dal fallimento. Lo chiamavano El inventor, perché aveva fatto fortuna con alcuni brevetti applicati al settore della pubblicità. E a nemmeno quarant’anni era stato l’unico ad accollarsi i 40 milioni di debiti accumulati dalla precedente proprietà del Rayo – che infatti comprò alla cifra irrisoria di 961 euro e 66 centesimi. Lo scorso aprile, per il decennale della sua presidenza, dichiarò che “fu la miglior scelta della vita”.
Il rovescio della medaglia
La situazione patrimoniale della società non si è mai del tutto risollevata. Nonostante i risultati sportivi, ben oltre l’ultima settimana – quasi la metà delle stagioni del Rayo nel massimo campionato spagnolo sono avvenute nell’èra Presa (7), incluso il miglior piazzamento di sempre, l’ottavo posto del 2012/13. Un saliscendi tra Primera e Segunda division che ha garantito gli introiti per sopravvivere e dissimulare. Come per maledizione infatti, le crepe di una crisi strutturale stanno spuntando tutte insieme. E su più fronti: ad agosto l’Ispettorato del lavoro e l’Assocalciatori spagnola hanno aperto un’indagine per “gravi irregolarità” all’interno del Rayo Vallecano femminile, prima di Presa orgoglio della comunità – tre scudetti, due volte agli ottavi della Uefa women’s Champions league – e ora nella bufera per stipendi non pagati, calciatrici impiegate senza contratto e accuse di truffa all’Assistenza sociale. Stessa musica nelle giovanili, con alcuni tesserati costretti a pagarsi i pasti in autonomia. Poi c’è la questione stadio. Proprio venerdì la Comunità autonoma di Madrid ha reso noto che il grave ritardo nei lavori di restauro del Campo de futbol de Vallecas è da imputare unicamente alla gestione del club. Nel frattempo, i tifosi devono accedere al vecchio impianto del quartiere fra impalcature e interi settori chiusi.
Da qui il caos. Dato il quadro di generale incertezza, la dirigenza del Rayo finora non ha previsto alcuna campagna abbonamenti per la stagione in corso. E per la partita del grande ritorno in Liga contro il Granada, con mariantonettiana miopia, si è inventata una sorta di flat tax: ingresso unico a 25 euro, non così lontano dal biglietto base degli alti borghi di Madrid. Risultato? 583 spettatori in tutto, meno del 25 per cento di quanto consentano le restrizioni Covid. La motivazione fa riflettere: “Non c’è stato alcun boicottaggio”, spiega Plataforma Adrv, il collettivo dei gruppi organizzati biancorossi. “La gente non ha potuto andare allo stadio a causa di prezzi proibitivi per gli standard di vita del nostro quartiere”. E poco importa che dalla seconda partita in poi – ora un posto in curva costa 12 euro – sia iniziato il calmieramento: per i 230mila abitanti di Puente de Vallecas il match day è sempre stato un intoccabile rito sociale, attorno a cui ruotano iniziative solidali e raccolte fondi per quello che continua a essere un barrio obrero. Autentico, pragmatico, dal profondo senso di appartenenza e per questo poco pittoresco – non c’è nulla da ostentare, quando si pensa a sbarcare il lunario.
È il Rayismo, appunto. Che Presa ha sfidato – o ignorato – a più riprese, scherzando col fuoco dell’estrema destra – dal trasferimento saltato dell’attaccante Zozulya, accusato dai tifosi di nazismo, al più recente invito allo stadio per il leader di Vox Santiago Abascal – per poi finire bollato come “schiavista” – in tema di lavoro femminile, per giunta. Quello al botteghino è stato l’ultimo affronto. Così Falcao rischia di passare per un’operazione da panem et circenses, fumo negli occhi su problematiche reali. Magari porterà il Rayo all’ennesimo record: i tifosi di qualsiasi altra piccola non chiederebbero altro. E amerebbero Presa come il Tanzi di turno. Fra gli striscioni del quartiere invece si legge: “Non ci interessano gli avversari, né la categoria”. Conta la strada.
Il Foglio sportivo