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Manny Pacquiao e il mondo che cambia

Marco Ballestracci

Il ritiro del campione 42enne e tutte le domande sul pugilato

Il mondo del pugilato ha assunto più o meno trent’anni fa le precise fisionomie del mondo di oggi. Più o meno quando Sugar Ray Leonard sconfisse per split-decision Marvin Hagler. Gli otto punti di vantaggio che - in supermondovisione e non nella palestra della Rhodigium Boxe -  il giudice Jose Juan Guerra assegnò a Leonard introducevano a un mondo fantasioso, in cui, per esempio, per tornare all’epoca che stava giungendo, i derivati, intesi come strumenti finanziari, diventavano gli arbitri dell’economia.

Insomma anche la nobile arte s’inseriva in un canone in cui contava più della realtà quello che sarebbe stato bello. La romantica favola del gran pugile che, però, nel corso d’un epico combattimento (con Hearns) s’imbatté nel distacco della retina, ma che grazie a un’incredibile tenacia e inenarrabile sacrificio riusciva a battere l’autentico (forse ultimo) mito della boxe.

Probabilmente è stato questo il culmine di tutta la bizzarria che già lo spezzatino delle categorie WBA, WBC (e fin qui ci si poteva ancora raccapezzare), IBF e WBO aveva introdotto e che conduceva all’imbambolamento quando qualcuno poneva la domanda: “Ma chi è il campione del mondo dei pesi massimi?”.

 

Ecco, solo allo zenith d’una confusione simile, al limite del lisergico, si possono sbarrare gli occhi e strapparsi i capelli di fronte al ritiro d’un pugile di 42 anni (si sottolineano con un tratto rosso i 42 anni), d’un metro e sessantasei d’altezza e che sta dentro al limite di peso dei super-welter (meno di 70 chilogrammi), nonché, e sprofondiamo nelle allucinazioni, che gioca pure a basket da professionista: Manny Pacquiao.

Ora, di sicuro, mi si darà del razzista delle altezze, del coglionatore à la “Short People” di Randy Newman, ma non mi capacito.

  

Chi ama la boxe – la storia della boxe – sa che è soprattutto lo sport dei pugili grossi. Che quando c’erano i pugili grossi, che sono poi i pesi massimi, per tirar fuori un po’ di fama era necessario avere delle capacità al limite dell’imponderabile, in una lista che, per esempio, può includere anche un pugile come Nicolino Locche che era in grado, praticando l’arte dell’illusionismo, di schivare tutti i colpi dell’avversario durante un campionato del mondo.

Ora, il fatto che un superwelter di 42 anni (si risottolineano con un tratto rosso i 42 anni), gran combattente per l’amordiddio – che in qualche modo ricorda davvero Roberto Duran quando stava tra i pesi leggeri e i pesi welter –  assuma i panni pontificali del più grande pugile di quest’epoca – o come si dice pound for pound - beh, a un paio di domande dovrebbe indurre. La prima è ovvia: “Esiste ancora il pugilato che trascinava padri e figli davanti alla televisione?”. La risposta è ugualmente ovvia: “No, perché i tempi, lo dicono tutti, sono cambiati”.

Ciò nonostante, come faceva notare lo scrittore Andrea Bacci durante la presentazione del suo libro dedicato al “match del secolo”, Manu Pacquiao – Floyd Mayweather, (“Maypac” edizioni Incontropiede), esiste anche un’altra evidenza: "Certo, il pugilato è uno sport seguito da molte meno persone rispetto ai tempi di Alì e Frazier, ma l’incontro tra Pacquiao e Mayweather ha portato un giro d’affari che nessun altro sport si può permettere di sognare”.

  

È proprio a questo punto che l’essenza del pugilato s’avvicina davvero al funzionamento della moderna economia, in cui, in un ipotesi di libero mercato che dovrebbe premiare l’efficienza e la concorrenza, ci si imbatte in inspiegabili aumenti di prezzo che sconcertano persino gli spiriti più arguti.

È incredibile ma il pugilato è così. Fuori da ogni grazia di Dio, tanto che ora si piange il ritiro d’un pugile di 42 anni (per la terza volta si sottolineano in rosso i 42 anni), giocatore professionista di basket, senatore delle Filippine e chi più ne ha, più ne metta, che a me che ho visto con mio padre in televisione “Thrilla In Manila” (cioè il terzo incontro tra Alì e Frazier) e che, così non mi si dà del rincoglionito nostalgico, mi sono esaltato per la guardia bassa di Irma Testa alle Olimpiadi vien da piangere. O da ridere. Non so.

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