Il Foglio sportivo
“Essere donne e calciatrici”. Centasso da Venezia, la sfida dell'immagine
“Mettersi in mostra è un’arma a doppio taglio”, racconta la centrocampista (e operatrice sanitaria) finita nel polverone del web quest’estate. “Instagram ci fa conoscere. Ma poi venite a vedere le nostre partite?”
Il patto social è apparire in cambio di interazioni. Vale per ricette, paesaggi, sport. Figuriamoci corpi. Lo sa bene Agata Isabella Centasso, veneziana e calciatrice: “Ma modella no, non lo sono mai stata”, ci tiene a sottolineare al Foglio Sportivo. “Quando non gioco lavoro in una comunità per disabili”. Eppure quest’estate è finita alla ribalta come la Wanda Nara di turno. Secondo il solito schema del clickbait. Un sito X – nella fattispecie Dagospia – punta un profilo Instagram di giovane donna, scarica e riutilizza le sue foto più provocanti – senza autorizzazione –, imbastisce una gallery e titola: “Una figa di mediano”. Il gioco è fatto. “Appena me lo segnalarono sono cascata dalle nuvole”, Centasso torna sull’episodio: “Ho pensato che non mi piaceva per niente. E sperato che non lo vedesse nessuno”. Invece era già trend topic, con le principali agenzie stampa a rilanciare la sdegnata reazione del club della ragazza – chiamarlo Venezia femminile sarebbe fuorviante: sulle intricate dinamiche lagunari poi ci torniamo.
“La questione si ingigantì a dismisura, mi arrivarono anche numerose dichiarazioni di solidarietà”, ma Agata non è tipa da cavalcare l’onda o piangersi addosso: “Per me poteva bastare così. Scrissi un post per placare le polemiche e tanti saluti. Il problema è che oggi si fa ancora fatica ad affermare la figura della donna in quanto sportiva, secondo una dimensione paritaria. Lo sforzo collettivo c’è. Poi basta un articolo per spazzare via tutto”. Dagospia dribblò le critiche rivendicando di prendere a “pallonate il moralismo e gli inquisitori social” – come l’appropriazione indebita di immagini digitali possa essere gesto rivoluzionario, non è dato sapere. Però dalla parte opposta, che la netiquette si giochi sul filo dell’ipocrisia è evidente al primo scroll di bacheca. Il trucco è implicare, lasciar intendere. E allora tutto ok. Esempio: proprio nei giorni del polverone attorno a Centasso, il Venezia Fc presentava sui social le nuove divise firmate Kappa con cui avrebbe affrontato la stagione del ritorno in Serie A. Design innovativo, successo immediato – oggi sono tra le più richieste in Europa –, marketing allusivo: la testimonial è una modella in lingerie. Maglia da calcio e mutandine. “Quelle foto?”, Centasso si concede una risatina stizzita: “Forse una scelta leggera, ingenua”, dice lei – che pure aveva posato per gli arancioneroverdi qualche anno fa, ma vestita da calciatrice. “L’immagine può essere una risorsa, ma anche un’arma a doppio taglio. Bisogna saper scegliere in che modo prestarsi alla platea virtuale. E coltivare una credibilità, al di là di ciò che si mette in mostra”.
Quindi entriamo nel mondo di Isabelva – “un soprannome nato dai nervi di mio papà quand’ero piccola: non stavo ferma un minuto” –, per capire cosa c’è dietro il profilo in rapida ascesa di una ragazza sportiva, fra i canali della sua città. E sì, spesso in bikini. Mica si può colpevolizzare l’estetica: “È un di più, ne sono consapevole”, dice Agata, oltre 40mila follower tra Instagram e Twitter. “Qualcosa da maneggiare con cura e un’occasione: mi fa piacere poter pubblicizzare prodotti dell’artigianato locale”, come collane in pasta di vetro di Murano – a chi intravede analogie con le magliette: quale nesso fra l’intimo femminile e una squadra di calcio? Il confine fra esporsi e strumentalizzare è sottile.
“I social ci permettono di farci notare - continua Centasso - ma poi le persone devono venirci a vedere alle partite: più avremo seguito reale, più si farà caso alle qualità effettive, alla fatica, all’immagine di ragazze che si smazzano sul campo. Lontano dai cliché”. In questo la centrocampista è fortunata: “Noi i tifosi li abbiamo sempre avuti, anche in trasferta. Siamo una realtà un po’ speciale”. A Marcon, in provincia di Venezia e fino allo scorso giugno come alter ego della maschile allenata da Paolo Zanetti: “Poi loro hanno rilevato il titolo sportivo del Vittorio Veneto (Treviso), lanciando il Venezia Fc women. Mentre con buona parte delle mie compagne sono rimasta nella vecchia squadra, il Vfc Venezia calcio”. Entrambe nel girone B di Serie C femminile, alla faccia del derby. “In Coppa c’è già stato, è andato male (6-0, ndr: “eravamo in ritardo di preparazione”), ma ci rifaremo. Giocare contro i propri colori fa uno strano effetto. A 31 anni però conta solo la passione: sono contenta del mio Venezia. E di continuare a venire associata alla mia città”.
Calciatrici lagunari su Google: dopo Morace c’è Centasso. “Essere all’altezza ogni giorno è una piccola sfida”, ammette lei, “ma basta avere una storia da raccontare”. Quella di Agata: incontrista “alla Gattuso”, una vita nel sestiere di San Marco, papà veneziano doc e mamma altoatesina. Poi “due fratelli che mi hanno aiutato a misurarmi con loro attraverso lo sport. Fino a vent’anni giocavo a basket: per la mia generazione non era comune una ragazza con le scarpe da calcio. Un giorno invece ho provato, quasi per caso, al Lido. E non ho più smesso. Ma la mia scuola è stata fra i campi del centro storico: mi sono fatta le ginocchia, a furia di cadere sui masegni”, i tipici blocchi in pietra della pavimentazione veneziana. “Oggi è tutta un’altra stagione: i Mondiali del 2019 hanno fatto da spartiacque e per una bambina è facile trovare la chance di avvicinarsi a questo sport. Poi l’adeguamento dei contratti, il professionismo in vista per le calciatrici di Serie A. L’Italia si sta evolvendo”.
Ma nelle altre categorie, dove gioca Centasso, “più del rimborso spese non abbiamo. Tocca arrangiarsi: io sono operatrice sociosanitaria, vorrei laurearmi in Lettere e un giorno lavorare nella comunicazione. Intanto ho iniziato a curare una rubrica online: sempre di calcio, ovviamente. Sarà una lunga strada”. Le sfere dell’essere, che sfuggono ai filtri Instagram. E meno male.
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