Il Foglio sportivo
La vela in festa alla Barcolana
La regata della rinascita a Trieste. Borlenghi: “La fotograferò allo specchio”
La Barcolana sta alla vela come la Maratona di New York alla corsa. Non c’è appassionato che non desideri partecipare almeno una volta nella vita. Non c’è al mondo una festa per chi ha quella passione che abbia eguali. La Barcolana non poteva che nascere e diventare quello che è diventata a Trieste, la Auckland del Mediterraneo. Ad Auckland, in Nuova Zelanda, “la città delle vele” che abbiamo imparato a conoscere grazie alle imprese di Luna Rossa, quando guardi il mare osservi sempre una selva di alberi. A Trieste non è diverso, con le spalle alla meravigliosa piazza Unità d’Italia, puoi vedere barche a vela ovunque. Nella settimana della Barcolana di più. Nessuna altra città può vantare un panorama in grado di competere, neppure Genova che con il più antico Club italiano e il Salone Nautico resta una pietra miliare della vela in Italia.
Era il 19 ottobre del 1969 quando una cinquantina di barche si schierarono sulla linea di partenza. La Coppa d’autunno è nata così, tra gli amici della Società Velica Barcola Grignano. Quel giorno in poche ore il Golfo di Trieste offri ai concorrenti tutto il suo catalogo metereologico: borino, levante, libeccio e ponente per finire la giornata con un’inesorabile bonaccia. Vinse Betelgeuse, un nove metri. Nessuno di quei cinquantuno regatanti immaginava quello che la Barcolana sarebbe diventata: la regata dei record. Nel 2018 si sono iscritte duemilaseicento ottantanove barche da sei a trenta metri. Lo spazio di mare tra il porto di Barcola e il castello di Miramare, dove si disegna l’ideale linea di partenza, è bastato per tutti a fatica. Così la Coppa d’Autunno con la sua edizione numero cinquanta è entrata nel Guinnes dei primati, ma oggi non sono più i numeri che contano. “Quell’anno battere tutti i record era una specie di ossessione”, racconta al Foglio Mitja Gialuz, il presidente di Barcolana, l’uomo del successo che molti in futuro vorrebbero sindaco. “Non ci dormivo la notte, dovevo controllare l’elenco degli iscritti in continuazione”.
Come ogni evento del 2021, la regata che parte domenica 10 alle 10.30 ha il sapore della rinascita. Ironia della sorte, anche nel 2020, con rigidissime regole anticovid, erano riusciti a organizzarla: tamponi gratis per tutti, niente Villaggio sulle rive, ma per la prima volta in 52 anni la Bora a quasi 50 nodi si era messa di traverso impedendo di dare il via per motivi di sicurezza. E pensare che avevano risposto al richiamo nonostante le evidenti difficoltà oltre 1.400 barche: tutti gli iscritti dell’anno scorso che sono tornati hanno ricevuto una maglietta speciale.
La Barcolana, insomma, non poteva che diventare quello che è se non a Trieste, ma anche Trieste deve molto alla sua regata simbolo. Se la città di frontiera per eccellenza si sta togliendo faticosamente di dosso l’immagine del “no se pol” una specie di mantra che ha caratterizzato la poca voglia di fare e di continuare a vivere in modo sonnolento e senza iniziativa, è anche grazie all’esplosione di vele che si ritrovano a inizio ottobre nel golfo. Al racconto delle giornate della Coppa d’Autunno si sono dedicati tutti i principali scrittori triestini, da Magris a Rumiz e Covacich, perché la cultura non poteva restare assente da questa festa di popolo del mare. Le cronache del giorno dopo raccontano dei maxi yacht di 30 metri che combattono per la line onor davanti a Piazza Unità. Ma per capire cosa vuol dire partecipare bisognerebbe imbarcarsi su un dieci metri, magari un gioiello di legno disegnato da Carlo Sciarrelli, storico e geniale progettista triestino, dove prima di portare a bordo le vele si pensa al prosciutto in crosta e alla Malvasia. In fondo le immagini che poi fanno il giro del mondo sono quelle della massa che si allinea al via o si ammassa alla prima boa.
Carlo Borlenghi da Bellano, il paese dei Vitali, sia i pittori che lo scrittore, è uno dei maestri della fotografia di vela. Quest’anno la Barcolana gli dedica una mostra. A Trieste non manca dagli anni Ottanta, quando era agli esordi della sua incredibile carriera: “Tutti i fotografi dovrebbero venire con la loro reflex alla Barcolana”, racconta al Foglio Sportivo, “perché si possono realizzare immagini che non hanno eguali al mondo. Chi viene poi ritorna. Massimo Sestini, il più grande fotoreporter italiano la prima volta mi ha chiesto qualche consiglio, ha scelto la visione aerea, zenitale, ha fatto foto bellissime, da allora non è più mancato all’appuntamento”. Borlenghi è da anni il fotografo ufficiale, i suoi consigli sono per tutti, per sé tiene qualche idea originale: “Le agenzie vogliono tutte la stessa foto, la marea di barche alla partenza con il faro della vittoria in primo piano. Realizzare un’immagine nuova non è facile, bisogna ingegnarsi. La mia foto più bella è quella fatta da dentro il faro, seguita da quella con le vele mosse. Per quest’anno ho un’idea: fotograferò la partenza da terra riflessa in uno specchio”.