Foglio Sportivo
C'era una volta Capannelle
Viaggio nell’ippica in crisi. Al Derby venivano in trentamila, oggi poche centinaia
Tira un vento freddo all'ombra delle gradinate di Capannelle. Sisto si sporge dalla balaustra e deve stringere gli occhi in una strana smorfia per sfidare la “gianna” e mettere a fuoco il Sulky che procede spedito in mezzo alla pista, inondata da un sole tiepido. Lo porta un cavallo nero, Sisto non riesce a riconoscerlo, ma sembra avere un passo diverso da tutti gli altri che si rincorrono in qualche scatto lanciato prima della gara. I suoi bendaggi bianchi sopra gli zoccoli che sembrano pizzicare appena la pista disegnano nell'aria una scia sinuosa e veloce. “Aho! Tienilo d'occhio a quello, che pare n'aeroplano”, grida uno poco più in là. Se ne sta lì, appoggiato da una parte a guardare il riscaldamento dei cavalli, come fosse lì per caso. Con le mani in tasca, spiega ad alta voce che un tempo, qua a Capannelle, era tutta un'altra cosa, che i politici, che la gente di Roma, che i cavalli... E però, mentre parla col fare di chi ti sta spiegando un mondo, i suoi occhi azzurri non si staccano mai dalla pista. “N'altro po' e spicca il volo!”, urla di nuovo a Sisto, che fa cenno di approvazione con il capo. “Io so' bravo con i galoppatori – spiega Guerino, così si chiama quello con le mani in tasca – ma per il trotto il migliore di tutti è Sisto. Insieme semo forti”. Sono solo in cinque o sei lì sulle gradinate a guardare il riscaldamento, un'ora prima che inizi la corsa di trotto più importate dell'anno. Il Derby italiano, si chiama. “So' quarant'anni che sto qua. Mi ci portavano i miei genitori che ero un ragazzino, e prima ancora venivano i miei nonni. All'epoca a Roma c'erano due posti dove annà: l'Olimpico o Capannelle. Noi venivamo qua. Se scommetteva, eccome no. Una volta mia madre ha fatto 'ambone' con du' mila lire e ha vinto du' milioni. Poi ha vissuto de' rendita. Però Capannelle era un posto per le famiglie che di domenica venivano per passare il tempo insieme. Sisto intanto scende nel salone delle scommesse. “E' arrivato un quotista bravo, devo annà. Se vedemo dopo”. Guerino continua a spiegarci ciò che resta di un mondo sdoganato solo a sprazzi da qualche commedia all'italiana degli anni 70 e 80. Ci dice che l'ippica è una scienza: “Sì, è tutto studio, mica un gratta e vinci. Qua nessuno fa debiti di gioco, è tutto ragionato. Perché prima della corsa devi vedere con i tuoi occhi il passo del cavallo, se il driver è concentrato, se il cavallo 'rompe' al galoppo, se curva male”. Una volta, per il Derby, si arrivava a 30 mila persone. Oggi invece saranno un centinaio. “Ormai si scommette con i cellulari. La passione è finita”.
Però ci sono delle costanti nell'ippica di ieri e di oggi. I politici, per esempio. Da un loggione in alto, quarant'anni fa, si affacciava Giulio Andreotti per guardare le corse. Giù in pista, oggi, corrono i cavalli della scuderia Pink & Black, quella di due dei fratelli Miccichè – Gaetano, banchiere ed ex presidente della Lega di Serie A, e Guglielmo,vicepresidente del Palermo, entrambi fratelli di Gianfranco, l'ex ministro per il Sud e presidente dell'Assemblea regionale siciliana. “Avevano Vitruvio, che correva forte”, ricorda Guerino che poi indica la pista. “Lo vedi quel cavallo? Si chiama DDR. L'hanno chiamato così in onore di Daniele De Rossi”. DDR ha il passo corto, sembra vada un po' lento rispetto all'“aeroplano” nero che volava davanti a lui. “Infatti. Dicevano che era l'erede de Varenne, ha qualche potenzialità ma 'rompe' sempre il trotto”, sentenzia il nostro esperto. Nella galassia dei nomi pesanti che ruota attorno all'ippica c'è quello di Zibì Boniek. Ex campione di Roma e Juve, oggi presidente della Federcalcio polacca, non è solo proprietario di un cavallo – Zefiro Bell –, ma ha persino il patentino da driver. Un paio di anni fa si mise a fare la guerra all'allora ministro dell'Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio, che osò spostare un'edizione del Derby da Roma a Napoli. “Uno scippo!”, tuonò Zibì. E mica fu quella l'unica volta che i rapporti fra ippica e politica si sono incrinati. Qua sulla tribuna si dice a denti stretti che un po' di intrallazzi ci sono sempre stati. Per esempio, “te dico solo che la Raggi è riuscita a chiude' l'ippodromo per 6 mesi, qualche anno fa. Manco pe' la guera c'erano riusciti – dice Guerino – E guarda che i fantini non so' mica calciatori, quelli se stanno fermi fanno la fame”. Il motivo della discordia furono i soldi del canone che il Comune di Roma aveva chiesto a Hippogroup, la società che ha in concessione questo tempio laico delle corse e che, per restare operativo, ha bisogno di 500 mila euro al mese. Un'enormità. Poi il Campidoglio ci ha ripensato e la situazione è rientrata. Ma fra ippica e politica è come se da sempre si sia insinuato un gioco fatto di moine e ammiccamenti interessati. Persino da queste gradinate si sono avvertiti gli effetti del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e pare che l'ippica dopo Mani Pulite non sia più stata la stessa. “Quando ce stava er Totip – ricordano qui dalla tribuna – le banche facevano storie perché non potevano continuà ad accettare tutti quei contanti che giravano”. Poi i tempi sono cambiati, all'improvviso nessuno ha più tirato fuori un soldo per paura di finire in qualche guaio. Non mancano allora le storie legate all'ippica dove il romanticismo guascone – quello da mandrakata, per intenderci – ha finito per macchiarsi di tragico. Per dire, c'era un amico molto caro del magistrato di Tangentopoli, Antonio Di Pietro. Si chiamava Eleuterio Rea, dirigente della Digos di Milano. Aveva il vizio del gioco e, lui sì, si era indebitato pesantemente. Negli ambienti delle scommesse lo chiamavano “Coriandolo”, perché era solito stracciare le schedine subito dopo averle giocate, e si dice che nel suo ufficio ci fosse sempre la tv accesa e sintonizzata sulle corse. Di lui si occuparono i giornali perché Di Pietro fu accusato – siamo a metà degli anni Novanta – di avere usato ogni mezzo, anche il ricatto, nei confronti dell'assicuratore Giancarlo Gorrini per appianare i debiti di gioco del poliziotto amico suo. Dopo qualche anno tutti furono assolti ma, non senza un tocco di grottesco, finì che Rea morì di infarto proprio mentre assisteva a una corsa all'ippodromo di San Siro.
Intanto le gare continuano. Più distante rispetto alla postazione di Guerino e Sisto iniziano i nodi di cravatta, le borsette in pelle e si brinda con bicchieri di spumante a innaffiare piatti di porchetta – immancabile. Fra un tavolo e l'altro si parla di infrastrutture sportive, lungaggini burocratiche, commissioni finanze, ci si scambiano risatine che rispondono a occhiolini, il tutto dando le spalle alla pista. “Prima giravano molti più soldi. Parliamo di decine e decine di miliardi – confida un esperto del settore con marcata inflessione milanese – Oggi restano gli spiccioli”. La madre di tutte le magagne la fece il decreto Bersani, che liberalizzò un po' tutto ma, talvolta, lo fece male. “Dicevano: se ottengo 10 da un solo canale di scommesse, allora ne apro 100 per ottenere 1.000”. Ma l'ippica è una scienza strana e quando non si parla più di cavalli due più due non fa per forza quattro: “Alla fine hanno disperso i canali delle scommesse, che sono diminuite invece di aumentare. Insomma, anche nell'ippica i politici si sono affidati a gente che di questo mondo non capiva nulla”. Si scherza, qui fra i tavoli ormai rimasti semi vuoti. Ci si accorge appena che il Derby, fra tante chiacchiere, l'ha vinto Charmant De Zack, che in volata ha battuto Capital Mail e Callmethebreeze, che era il favorito. Dell'“aeroplano” nero adocchiato da Guerino non abbiamo notizie.