Il senso di Gunnar Nordahl per il gol
Cent'anni fa nasceva il più prolifico centravanti della storia del Milan: in otto stagioni segnò 221 gol in 268 partite ufficiali. Aveva due cosce da ciclista e un torso da nuotatore. Assomigliava a un Johnny Weissmuller in versione Tarzan da area di rigore
Nei primi anni del secondo dopoguerra del secolo scorso, Bertil, Knut, Gunnar e i gemelli Gösta e Göran erano cinque giovani fratelli. Venivano da Hörnefors, un minuscolo villaggio della contea di Västerbotten, affacciato sul golfo di Botnia, nella Svezia settentrionale, intorno al 63° parallelo, non molto lontano dal Circolo Polare Artico. E tutti e cinque giocavano al pallone. Tre di loro, Bertil, Knut e Gunnar erano così bravi che arrivarono in Italia a cercar fortuna sui campi della Serie A. Ma soltanto uno di loro divenne un grande campione e se oggi, il 18 ottobre 2021, ci si ricorda anche degli altri quattro il merito è tutto di Gunnar, Gunnar Nordahl che nasceva esattamente cento anni fa, il 18 ottobre 1921.
Era invece una sera di metà gennaio del 1949 quando Gunnar Nordahl arrivò a Milano, in treno. I dirigenti del Milan – la squadra che gli aveva fatto firmate il suo primo contratto da professionista, dopo averlo visto all’opera nella Nazionale svedese, vincitrice nel 1948 del torneo olimpico di Londra – erano andati ad accoglierlo all’aeroporto di Zurigo. Lo avevano prelevato dal volo proveniente da Stoccolma e accompagnato a vista sul treno diretto a Milano. Il motivo di tutte queste attenzioni è da fa risalire alla clamorosa vicenda i calciomercato che, solo poche settimane prima, aveva visto beffata la società rossonera.
Nel dicembre del 1948 il centrattacco danese Johannes Ploeger, anch’egli messosi in luce nel corso dell’Olimpiadi londinesi, aveva intrapreso il viaggio che da Copenaghen lo avrebbe portato a Milano per la firma con la società rossonera con cui si era accordata, a voce, per il contratto. Ma durante il viaggio, dapprima in aereo fino a Parigi e da qui in treno, direzione Milano, il campione danese era stato letteralmente sequestrato da un blitz ferroviario dei dirigenti juventini che, potendo contare su un’efficace opera di convincimento da parte del connazionale John Hansen, da alcuni mesi già in forze alla Juve, erano saliti sul treno a Domodossola e “dirottato” Ploeger da Milano a Torino. L’increscioso scorno subito dal Milan, società che non vinceva uno scudetto dal lontano 1907, si rivelò tuttavia un sorprendente colpo di fortuna. Con un gesto di signorilità sportiva, a compensazione del presunto danno subito l’avvocato Agnelli acconsentì a che il centravanti svedese, tempo prima opzionato dalla Juventus, potesse accordarsi con il Milan. Se Johannes Ploeger nella stagione 1948-49 giocò solo 16 partite, mettendo a segno la miseria di un solo gol – prima di essere ceduto al Novara per il campionato seguente – Gunnar Nordahl viaggiò, al contrario, al ritmo di 16 gol in 15 partite. E questo fu solo l’inizio.
L’inizio della formidabile parabola rossonera del più prolifico cannoniere della storia milanista, con 221 gol in 268 partite ufficiali per otto stagioni – abbondantemente davanti a Shevchenko, 175, e a Gianni Rivera, 164 – nonché terzo assoluto nella classifica dei cannonieri della Serie A di sempre, alle spalle di Silvio Piola, 274, e Francesco Totti, 250, ma con una media realizzativa straordinariamente migliore: 0,77 a partita, contro le rispettive 0,51 e 0,40.
Nordahl fu amatissimo fin dal primo giorno dal popolo rossonero, quando si affollò a centinaia al suo arrivo alla Stazione Centrale, tanto da fargli immaginare, un po’ atterrito, di essere capitato nel bel mezzo di uno sciopero, o a dei disordini di piazza. I tifosi rossoneri impararono presto a vederlo trascinare la squadra a suon di gol. Per cinque volte fu capocannoniere del campionato (tre delle quali consecutive). Sessantasei anni resistitette il suo record di gol di realizzati in una sola stagione, 35, prima di essere superato di una rete nel 2015-16 da Gonzalo Higuain, quando giocava nel Napoli.
Nordahl, racconta chi lo ha visto giocare, segnava gol a grappoli. Aveva due cosce da ciclista e un torso da nuotatore. Assomigliava a un Johnny Weissmuller in versione Tarzan da area di rigore. Grazie a lui, e ai due connazionali svedesi, Gunnar Gren e Nils Liedholm, che, dalla stagione successiva, lo raggiunsero a formare il mitico trio del Gre-No-Li, il Milan tornò a vincere nel 1951 lo scudetto, sotto la guida di Lajos Czeizler, l’allenatore ungherese che già aveva allenato Nordahl e Liedholm nel Norrköping, in Svezia. E poi ancora nel 1954-55. Dei suoi 221 gol soltanto uno fu realizzato su rigore, tutti gli altri su azione. Accadde il 12 febbraio 1950 quando il Milan travolse per 7-1 la Pro Patria: le cronache del tempo riferiscono che il tiro di Gunnar, che non era uno specialista dagli undici metri, s’insaccò non prima di aver carambolato fra traversa, linea di porta e ancora traversa, per poi entrare finalmente in rete. Del resto a Gunnar piaceva segnare in altro modo: di potenza e di precisione, di rapina in area e in progressione, trascinandosi appresso gli avversari che gli si aggrappavano, invano, alla maglia o ai pantaloncini, di sinistro, di destro e, meno di quanto non si creda, di testa. In effetti Nordahl, il Pompiere – in Svezia, dove nel calcio non vigeva il professionismo, al Norköpping gli avevano assicurato un impiego da vigile del fuoco – o anche il Bisonte, non era altissimo, solo 1 metro e 80, ma incommensurabili erano le misure dei suoi quadricipiti che, lanciati in corsa o esplosi al tiro, diventavano irresistibili armi improprie.
La figura imponente e il sorriso aperto, quasi mediterraneo, ne fecero un beniamino di quel Milan che si preparava a tornare una grande società nel panorama calcistico nazionale e internazionale: a parte ai due connazionali, Gren e Liedholm, Nordahl giocò a fianco di Carletto Annovazzi e di Hector Puricelli, di Lorenzo Buffon e di Cesare Maldini, di Eduardo Ricagni e dell’immenso Juan Alberto Schiaffino. Divenne un personaggio da rotocalco, e numerose sono le sue foto a fianco dei divi del momento, da Fausto Coppi e a Walter Chiari, conclamato tifoso rossonero.
Passò alla Roma nella stagione 1956-57, rimanendovi per due campionati, dei quali il primo ancora a ottimi livelli (30 partite per 13 gol). Ma il suo cuore rimase per sempre rossonero. Quando, nel settembre del 1995, un infarto lo tradì, a quasi 74 anni mentre nuotava nella piscina di un albergo di Alghero, i soccorritori notarono che indossava un costume nero con delle strisce rosse.