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Frank Williams era l'ultimo della Formula 1 dei romantici

Umberto Zapelloni

È morto ieri il manager inglese che con la sua scuderia riuscì a conquistare 9 titoli mondiali costruttori e 7 piloti. "Una personalità con un potere tanto forte sull'immaginario sportivo della nazione quanto quello di Enzo Ferrari in Italia"

Frank Williams era l’ultimo rimasto. Dopo di lui in Formula 1 non resta più nessuno di un’epoca romantica, gloriosa e piena di passione. Frank come Enzo Ferrari, ma anche come Colin Chapman o Ron Dennis aveva cominciato quando quello era soltanto uno sport e non un business. Quando a muovere tutto c’era una passione infinita per la velocità, per le gare, per la meccanica più che per gli uomini. Aveva cominciato scappando dagli hotel perché non aveva i soldi per pagare i conti, telefonando da una cabina telefonica perché gli avevano tagliato le linee. Ha chiuso vendendo la sua squadra a un fondo americano a suon di milioni di dollari. Ha costruito un impero che sua figlia Claire non è riuscita a gestire e alla fine ha preferito lasciare in altre mani per non rovinare anche il nome glorioso di una scuderia che in Formula1 ha vinto 9 titoli costruttori e 7 piloti anche se gli ultimi mondiali risalgono al 1997, all’epoca di Jacques Villeneuve e l’ultima delle 114 vittorie al Gran premio di Spagna del 2012 quando Pastor Maldonado sorprese il mondo intero, compreso il Venezuela che finanziava la sua carriera.

Frank se ne è andato prima di compiere 80 anni. Da tempo non lo si vedeva in più. Una delle sue ultime apparizioni fu a Silverstone due anni fa quando Lewis Hamilton lo portò a spasso su una Mercedes Stradale. “Mi hanno detto di andare piano”, gli disse Lewis. “Stai scherzando vero?”, gli rispose Frank che alla fine del giro gli chiese un altro favore: “Facciamone un altro, per favore: per me è indimenticabile”. Lo è stato anche per Lewis che ha voluto ricordare sir Frank raccontando quell’aneddoto.

 

Per Stefano Domenicali, oggi ceo della Formula 1, “Frank era un vero gigante del nostro sport. Ha superato le sfide più difficili della vita e ha lottato ogni giorno per vincere, dentro e fuori la pista. Abbiamo perso un membro molto amato e rispettato della famiglia della F1 e ci mancherà moltissimo. I suoi incredibili risultati e la sua personalità saranno impressi per sempre nel nostro sport”.

I quotidiani di tutto il mondo lo stanno ricordando. Frank è stato un uomo speciale. Uno Zanardi prima che tutti noi imparassimo ad ammirare la forza di Alex. Dal 1996 era tetraplegico, ma non aveva mai smesso di sognare. E poi di realizzare quei sogni. Dopo esser rimasto per sei settimane tra la vita e la morte in un ospedale francese, aveva imparato a comandare la sua scuderia da una sedia a rotelle. Gli bastavano uno sguardo, una parola, anche quando faceva fatica a far uscire il fiato da quel fisico che lo imprigionava. Sir Frank che era stato un buon maratoneta, non ha però mai avuto la possibilità di muovere neppure le braccia. Una tortura per un uomo che era follemente innamorato della velocità. “L’ho amata e se sono finito su una sedia a rotelle è proprio per colpa della velocità”, ammette riferendosi all’incidente. Guidava una Sierra presa a noleggio, andava a Marsiglia, lo aspettava un aereo dopo una sessione di test al Paul Ricard. Il giornalista inglese Peter Windsor, all’epoca suo assistente nel team e seduto quel giorno al suo fianco, ha raccontato che correvano perché erano in ritardo. Perse il controllo dell’auto in curva, si ritrovarono in mezzo agli alberi, giù per un pendio. L’auto era distrutta, lui non si era fatto niente, invece Frank gridava, gridava I can’t feel my legs, I can’t feel my legs. I medici gli diedero pochi giorni di vita. Si sbagliavano. Sei settimane dopo l'incidente era con la sua squadra, su una sedia a rotelle, al Gran Premio di Gran Bretagna a Brands Hatch.

 

“Era inventivo, provocatorio e brillante: ha rivoluzionato la Formula 1 una figura totemica nel motorsport britannico, una personalità con un potere tanto forte sull'immaginario sportivo della nazione quanto quello di Enzo Ferrari in Italia - scrive di lui il Telegraph - Il suo nome resisterà, come artefice dell'ultima delle squadre a conduzione familiare che hanno conquistato il mondo. Williams era la quintessenza della britannicità. Questo elemento non è mai stato tanto evidente come al culmine della Mansell-mania nel 1992. La sua ostinazione lo ha reso un genio del paddock. Ha messo a dura prova la sua efficacia come padre di famiglia. Il giorno del suo matrimonio, non pensò al pranzo e andò direttamente in fabbrica. Quando Ginny portava i loro tre figli in vacanza a Marbella, lui non è mai andato. Prima della morte per cancro nel 2013, all'età di 66 anni, Ginny ha scritto un libro, A Different Kind of Life, spiegando la rabbia che ha provato all'indomani dell'incidente di Frank. Il rifiuto di suo marito di leggerlo ha causato un dolore estremo a sua figlia Claire”.

 

Frank parlava un italiano perfetto. Lo aveva imparato sul campo lavorando con scuderie, piloti e sponsor italiani. Era un tipo spregiudicato in pista come negli affari. Si racconta che quando cercava di guadagnare vendendo auto agli italiani gli capitava di farsi rimandare in Inghilterra la vecchia monoposto, di lavorarci su per mesi, cambiare le targhette identificative del telaio e rivendere come nuova la stessa auto al vecchio proprietario. È andato avanti a farlo per anni, pare che nessuno se ne accorgesse. Per anni, poi, si racconta che scappasse dagli hotel con i suoi meccanici perché non aveva soldi per pagare i conti. Quando è diventato abbastanza forte e ricco da poter pagare debiti e fornitori, si è trovato alle prese con altri conti da pagare, oltre a quello della sua condizione fisica. La morte di Piers Courage negli anni Settanta e quella di Ayrton Senna nel 1994. Lui che per primo aveva offerto ad Ayrton la possibilità di salire su una Formula 1, lo aveva visto morire su una sua auto, per un problema tecnico, una leggerezza dei suoi ingegneri. Frank che raccontava “non è una cosa da uomini far vedere le proprie emozioni”, provò a tenersi tutto dentro anche quella volta. “A casa nostra Ayrton è stato considerato un Dio per lungo tempo – racconta Claire in un bel documentario della Bbc distribuito su varie piattaforme anche in Italia – Papà ne era innamorato. Lo aveva nel cuore, nella testa e voleva assolutamente portarlo in squadra. Alla fine il suo sogno si è avverato, ma è finito nel peggior modo possibile”.

Ha vinto mondiali con Jones, Rosberg padre, Hill e Villeneuve figli, Piquet, Mansell, Prost. Non ce l’ha fatta con il pilota che aveva amato di più, quello a cui per primo aveva offerto di guidare una Formula 1. Ma non ricordatelo solo per quel primo maggio 1994. Frank Williams per fortuna è stato molto altro.

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