Il Foglio sportivo
Newcastle saudita. Non è solo football
Lo sbarco degli sceicchi arabi in Premier League visto dal St James’ Park tra associazioni Lgbt che criticano la nuova proprietà e tifosi che esultano senza però essere ciechi ai problemi
Allo Strawberry Pub di Newcastle, a due passi da St. James’ Park, certe tradizioni rimangono sacre. La birra Brown Ale non va spillata. Arriva in bottiglia e con un bicchiere piccolo, da 33 cl, da riempire due volte. L’era saudita è iniziata da quasi due mesi, ma certi rituali non si toccano e prima di cominciare la videointervista Jamie Smith ci tiene a farlo presente. Voce autorevole tra i tifosi dei Magpies, abbonato da sempre e firma di The Mag, fanzine indipendente nata nel 1988. Dall’iniziativa lanciata sul sito ufficiale è scattata l’adunata festosa allo stadio che lo scorso 7 ottobre ha celebrato il cambio di proprietà, con l’addio a Mike Ashley. “Il nostro non era un tributo all’Arabia Saudita, ma una festa per la liberazione dopo quattordici anni di stenti”, ribadisce mentre riempie fino all’orlo il primo bicchiere marchiato con la stella divenuta celebre con le esultanze di Alan Shearer a fine anni Novanta.
Proprio perché le tradizioni vanno sempre onorate, andare allo stadio non è una novità sospinta dall’avvento di una nuova epoca. In questa stagione a St James’ Park ci sono sempre state in media 50mila persone, nonostante l’ultimo posto in classifica, unica squadra a non aver ancora vinto una partita in Premier. L’attaccamento a queste latitudini non dipende dai risultati e nemmeno dai presidenti. “Comprendiamo il dilemma morale di tanti nei confronti dell’Arabia Saudita – prosegue Smith – però se non vivi a Newcastle, una città intera raccolta attorno a un’unica squadra, è difficile capire fino in fondo l’importanza di un investimento di tale portata. La nostra cruda euforia è legata all’impatto sociale, alle nuove prospettive, alla crescita dell’economia locale e al senso d’orgoglio di avere una squadra finalmente competitiva. Non è soltanto football. Chiedere dissenso e ostracismo verso i nuovi proprietari vuol dire chiedere a noi tutti di rinunciare agli aspetti migliori di una rivoluzione attesa per anni”. Poi una stoccata verso le altre tifoserie: “Negli stadi di Middlesbrough e Crystal Palace, per fare degli esempi, siamo stati accusati di aver venduto la nostra anima. Ma chi ci accusa, cosa fa in concreto per la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita?”.
Per tutta la settimana la Premier League ha dovuto fronteggiare la polemica legata ai Rainbow Laces, la campagna di supporto e inclusione, al via oggi, verso le comunità Lgbt+. I colori dell’arcobaleno saranno ovunque, anche sui lacci degli scarpini dei giocatori, e la nuova proprietà del club ha scelto di aderire mettendo il regno di Mohammed bin Salman in imbarazzo. Le associazioni Lgbt britanniche fanno notare che “in Arabia Saudita per gli omosessuali è prevista anche la pena di morte, in quanto idea estremista ed equiparabile al terrorismo. Il giovane influencer Suhail al-Jameel è ancora in carcere per quanto condiviso sui propri canali social. L’adesione a Rainbow Laces, senza gesti concreti, rappresenta solo un’azione di facciata”. Per la sfida di martedì contro il Norwich a St. James’ Park, sugli spalti sventoleranno le bandiere saudite e quelle arcobaleno. Per l’occasione beIN Sports, che trasmette la Premier League in Medio Oriente, ha già annunciato che “non opererà alcuna censura, lasciando scorrere il feed internazionale in diretta dagli stadi inglesi”. Proprio la fine del blocco nei confronti di beIN Sports da parte dei sauditi, lo scorso 6 ottobre aveva dato il via libera, dopo una lunga telenovela, all'acquisizione del Newcastle da parte del Public Investment Fund (PIF).
I vertici di beIN, emittente di Stato qatariota, erano stati infatti tra i primi a insorgere nella primavera del 2020, chiedendo lo stop della trattativa. Al governo saudita veniva attribuita una malcelata compiacenza nell’impedire lo streaming illegale in patria di eventi sportivi – tra i quali proprio il campionato inglese – attraverso la piattaforma pirata beoutQ. Le perplessità della Premier League riguardavano anche, come ammesso dal suo ad Richard Master, il diretto coinvolgimento del governo saudita nell’operazione. Perplessità che sono venute meno il 7 ottobre – giorno fatidico – quando con un comunicato la Premier ha salutato la chiusura dell’accordo con cui il fondo PIF è diventato proprietario dell’80 per cento del club e la risoluzione delle controversie: “La Premier League ha ricevuto assicurazioni legalmente vincolanti che il Regno dell'Arabia Saudita non controllerà il Newcastle United”. Il concetto è stato ribadito anche da Amanda Staveley, intermediaria della trattativa e azionista di minoranza del club: “Prendiamo molto sul serio i diritti umani, ma il nostro partner è il PIF, non lo stato saudita”.
Per convincersene bisogna però fare a meno di osservare la composizione del board del fondo, al cui vertice troviamo proprio il principe ereditario, Mohammed bin Salman: oltre al governatore del PIF Yasir Al-Rumayyan, attuale presidente del Newcastle, compaiono sei ministri del regno e un consigliere della Corte Reale. L’importanza strategica del fondo nell’ambito della Vision 2030, piano di trasformazione socio-economica per una progressiva indipendenza dal petrolio presentato da Bin Salman nel 2016, non è un mistero. Secondo Robert Mogielnicki, ricercatore senior presso l’Arab Gulf States Institute di Washington ed esperto di politica economica del Medio Oriente, “se guardiamo alla storia del fondo sovrano saudita dagli anni Settanta a oggi, è sempre più una parte importante dello sviluppo della strategia economica del governo.
Basti pensare che molti degli investimenti previsti sotto l’ombrello della Vision 2030 prevedono la presenza del PIF come investitore o come partner. Si tratta di tanti progetti diversi, nazionali e internazionali. In altre parti della regione medio-orientale i fondi sovrani non svolgono questo ruolo così dominante in politica economica, si assumono investimenti più sicuri e a più basso rischio. Il PIF, che gestisce asset per circa 400 miliardi di dollari, ha una maggiore propensione per il rischio e credo che questo vada di pari passo con la grande ambizione di trasformazione socio-economica”. Un cambiamento che passa anche per il calcio. Secondo Mogielnicki “aree di investimento come sport, intrattenimento ed energie rinnovabili sono importanti per lo sviluppo dell’agenda economica interna. La parte del piano in cui MBS immagina una nuova Arabia Saudita anche grazie all’intrattenimento, agli eventi sportivi e alle attrazioni culturali fa parte di una visione più socioeconomica e non solo riconducibile agli investimenti e a un ritorno più o meno immediato. Una squadra di calcio è importante nell’ottica delle pubbliche relazioni, per il branding, per il riconoscimento mondiale. Ma la vera domanda è: quanto può essere saggia la decisione di investire in un club calcistico per il governo dell’Arabia Saudita?”.
Ai tifosi del Newcastle, per ora, la saggezza interessa il giusto. C’è una squadra da ricostruire, una retrocessione da scongiurare e un futuro sportivo eccitante alle porte. Ma c’è anche una società da strutturare: pesa la mancanza di un direttore sportivo, figura assente dal 2014, da quando l’eccentrico Joe Kinnear rassegnò le sue dimissioni. Il nome che in questi giorni viene più associato al club è quello di Michael Emenalo, autore di un egregio lavoro al Chelsea da direttore tecnico tra il 2011 e il 2017. Eddie Howe, tecnico appena scelto dalla nuova gestione dopo il rifiuto di Emery, si augura di essere presto affiancato da un dirigente esperto per provare a risalire la corrente e a moltiplicare, almeno per sette, gli attuali sei punti in classifica entro la fine del campionato. Sempre, possibilmente, a 33 cl alla volta di Brown Ale.