il foglio sportivo - il ritratto di bonanza
Rinascimento Italiano a Firenze
L'allenatore della Fiorentina ha dovuto risollevare un ambiente con il morale a terra. Lo ha fatto puntando su due semplici principi: la vittoria e la bellezza
Prova, prova, prova solo un po’ più duramente, cantava Janis Joplin, la donna con gli occhiali tondi e il sorriso stregato, guardando rivolta verso l’alto in preda ad allucinazioni misteriose. Ecco, il calcio che vince oggi sembra possedere quell’espressività trasognata di certi artisti del passato. La spinta costante verso un destino, qualsiasi esso sia, senza troppi calcoli, compromessi. Uscendo dalle solite facce, dentro le prime quattro della classifica, troviamo, un po’ più indietro, uomini senza paura che guidano squadre cosiddette minori ma che a livello di gioco non sono inferiori a nessuno.
Il Verona di Tudor, il Torino di Juric, il Sassuolo di Dionisi, l’Empoli di Andreazzoli e soprattutto la Fiorentina di Italiano. Essere la squadra di una città come Firenze comporta una certa responsabilità in tema di risultati e di bellezza. E questo potrebbe essere il primo punto, che però non basta a spiegare quello che sta accadendo nella cosiddetta culla del Rinascimento. La Fiorentina è abituata più a perdere che a vincere, lo dice la storia del suo calcio, in controtendenza con la storia della sua civiltà. A cambiare il corso, le cattive abitudini, ci hanno provato alcuni pionieri negli anni sessanta, quando si poteva anche pensare di conquistare uno scudetto con la maglia del Cagliari e, appunto, con quella della Fiorentina. Ma dopo, a parte Antognoni, Baggio, Batistuta, singoli interpreti più che squadre intere, si è visto solo qualche barlume, niente di più.
Per non parlare delle ultime stagioni vissute con il patema della retrocessione. Italiano, giunto a Firenze come rimedio al pasticcio di Gattuso, si deve essere posto il problema di come far tornare protagonista la città, oltre alla squadra. Deve essere per questo motivo che ha impostato il lavoro su due semplici principi: la vittoria e la bellezza. Vincere non è mai facile, soprattutto se non hai i giocatori migliori, ma con il gioco si può provare a colmare la distanza che intercorre tra te e quelli più bravi. E cos’è il gioco, inteso come dominio della partita, possesso dello spazio e del tempo, se non un principio di bellezza? La Fiorentina corre incessantemente alla ricerca di quel dominio. Lo fa con il suo principe, il centravanti serbo che gioca senza orecchie per non sentire i rumori, e lo fa con tutto il resto della compagnia, che poi è quasi la stessa che l’anno scorso rischiava di finire in Serie B.
Come ha fatto Italiano a compiere questo piccolo miracolo? Semplicemente ha scelto di allenare senza complessi, nel rispetto di tutti e paura di nessuno. Con la forza dell’immaginazione, pensando in modo ambizioso, provando e riprovando, sempre più duramente, a giocare meglio degli avversari, anche i più forti. Con lo stesso sorriso stregato di chi vuole sovvertire la realtà. Come se questa fosse un mistero che solo un uomo di coraggio possa svelare.
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Il dolce stil Viola della Fiorentina di Raffaele Palladino
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