Triste y final, ma non solitario
Cosa resta di Sergio Agüero. L'addio al calcio dell'argentino
L'attaccante si ritira a 33 anni e pochi mesi. L’aritmia cardiaca di cui soffre non gli consente di proseguire l’attività agonistica
Marcelo e Sergio Agüero non sono parenti. Uno è il leader e cantante del gruppo musicale di cumbia Los Leales, l’altro uno dei migliori attaccanti degli ultimi quindici anni. Oltre a condividere le origini – entrambi provengono da Quilmes, 27 chilometri a sud di Buenos Aires – hanno collaborato alla realizzazione di una canzone, intitolata proprio Kun Agüero e alla quale ha prestato la voce proprio il calciatore. “Forza, che il mondo vuole vederti mostrare il tuo coraggio, fai felice la gente con il tuo modo di giocare” è forse il passaggio del brano più adatto per una giornata come questa, quella dell’addio al calcio di Agüero. L’aritmia cardiaca di cui soffre non gli consente di proseguire l’attività agonistica.
Uno stop obbligato, a 33 anni e dopo pochi mesi dal suo passaggio al Barcellona. Lo ha comunicato con gli occhi lucidi, la voce rotta dal pianto, diverse interruzioni. Con il Camp Nou alle spalle, Agüero ha reso nota la sua decisione più difficile e ha ringraziato tutti i club in cui ha giocato, compagni e tifosi. Anche i giornalisti, compresi quelli che sono stati meno teneri con lui. “Ho deciso di smettere con il calcio professionistico. È un momento molto duro, ma sono comunque felice: la mia salute viene prima, anche se ho fatto tutto il possibile per tenere viva la speranza di continuare. Sono orgoglioso e felice per la mia carriera, ho realizzato i miei sogni. Non so che mi aspetterà nella prossima vita ma c’è molta gente che mi vuole bene e vuole il meglio per me”. Tra questi anche Pep Guardiola e Txiki Begiristain, venuti da Manchester per omaggiarlo.
Triste y final, di certo non solitario come quel Philip Marlowe che Osvaldo Soriano scelse come protagonista del suo libro d’esordio, riprendendolo dai romanzi di Raymond Chandler. Preso atto di non poter giocare il Mondiale in Qatar, dunque dell’impossibilità di provare a cancellare l’amaro ricordo della finale persa a Brasile 2014, al Kun saranno sicuramente trascorsi nella mente, in queste settimane di sospensione in attesa di un verdetto, i momenti più significativi della sua carriera.
Come tanti colleghi sudamericani si è portato dietro un soprannome dell’infanzia, un nomignolo scelto dai nonni in assonanza col cartone giapponese Kum Kum il cavernicolo, molto apprezzato da Agüero da bambino. Kun gli è finito sulle spalle, sopra al numero di maglia e prima del cognome, a partire dalla stagione 2006/2007, la sua prima in Europa, con l’Atletico Madrid. Nell’estate del 2005 era diventato campione del mondo under 20 con la nazionale argentina. A quel torneo, celebre perché rivelo al mondo con chiarezza le abilità di Leo Messi, Agüero partecipò come giocatore più giovane della sua rappresentativa. Se nell’edizione del 2005 le sue qualità si erano solo intraviste in alcuni scampoli di partita, quella successiva la giocò da protagonista: un altro trionfo per l’Argentina, 6 gol per lui (di cui uno in finale), assieme ai titoli di miglior giocatore e capocannoniere.
A scoprire Agüero era stato un amico di suo padre, il giornalista Eduardo González – che negli anni 90 conduceva un programma sull’Indipendente – e che segnalò al club di Avellaneda questo promettente ragazzino di 8 anni. Il debutto in campionato arrivò sette anni dopo, a 15 anni, un mesi e tre giorni, e segnò un record per il calcio argentino. Il precedente detentore del primato era infatti Diego Armando Maradona, suo futuro suocero e ct che nel 2010 lo porterà al Mondiale. La sua relazione sentimentale con Giannina Maradona durò dal 2008 al 2012 e non si concluse nel migliore dei modi, tra azioni legali e polemiche a mezzo stampa (e social). Inevitabile che il rapporto con Diego ne risentisse: dagli attestati di stima del 2008 (“Sono orgoglioso di lui, mi assomiglia”) a parole meno dolci negli anni successivi (“È un vigliacco, non voglio nemmeno nominarlo”). Nel frattempo Agüero era passato al Manchester City, club nel quale giocherà per dieci stagioni segnando in totale 260 gol in 390 partite e vincendo cinque volte la Premier League. La prima però resta la più emozionante, anche in virtù di quello storico gol del 3-2 al QPR che completò la rimonta al minuto 94 in uno dei finali di campionato più memorabili degli ultimi vent’anni di calcio, almeno. Lo stesso Kun lo ha ricordato in conferenza, inserendo quella rete tra le sue più significative, citandola subito dopo quella messa a segno contro il Racing nel 2005, quando giocava nell'Independiente: un diagonale di sinistro dopo una partenza palla al piede da dietro al centrocampo e tre finte per mettere a sedere uno stordito difensore rivale.
La passata stagione, l’ultima per il Kun se non consideriamo i 165 minuti complessivi accumulati con la maglia del Barcellona (e conditi con un gol, inutile ai fini del risultato, contro il Real Madrid) ha avuto un epilogo dolceamaro. Contraddistinta dai molti infortuni (più il Covid tra gennaio e febbraio), si è chiusa con il successo tanto atteso con la nazionale maggiore in Copa America e la Champions League persa in finale contro il Chelsea.
A ispirare Soriano per la scelta di quel titolo era stata la frase “Arrivederci, amico. Non vi dico addio, lo dissi quando significava qualcosa, quando ero triste, solitario y final”. Arrivederci a presto, Kun.