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Il Foglio sportivo

80 (anni) nostalgia di Sir Alex Ferguson

Enrico Veronese

Con Sir Alex Ferguson ha reso (di nuovo) grande il Manchester United e trasformato lo stadio di Old Trafford nel Teatro dei Sogni per intere generazioni di tifosi

L’ultimo giorno del 1941, quando Alexander Chapman Ferguson – d’ora in poi Sir Alex, o il Sir punto e basta – nasceva protestante a Glasgow (la città calcisticamente più dicotomica d’Europa), le sorti della guerra mondiale volgevano nettamente a favore dell’Asse. Da pochi giorni i giapponesi bombardato la base di Pearl Harbor, mentre in Russia e nell’Africa settentrionale le truppe tedesche e italiane avanzavano quasi senza ostacolo. Ma nel corso dei due anni successivi il Generale Inverno a est e la potenza bellica angloamericana a sud presero il sopravvento, quando tutto invece pareva già segnato: quasi all’ultimo minuto di una partita di calcio, dall’equilibrio precocemente spezzato e non ancora ristabilito. Come la finale di Champions League disputata a Barcelona il 26 maggio 1999, quando il Bayern Monaco si portò in vantaggio contro il Manchester United allenato da Sir Alex: al novantesimo i bavaresi ancora conducevano per l’incursione di Basler, ma prima Teddy Sheringham, poi (a recupero avanzato) il norvegese Ole Gunnar Solskjær capovolsero le sorti dell’incontro, di puro impeto, regalando al tecnico scozzese il giorno più bello della sua vita.

Senza voler scomodare riferimenti religiosi in voga l’ultima settimana dell’anno, proprio Solskjaer – non il solo, per carità – torna opportuno per dimostrare plasticamente come poche volte l’antitesi tra il prima e il dopo sia stata tanto tranchant. Al timone dei Red Devils, il Sir ha vinto due Champions League, una Coppa delle Coppe, due Coppe Intercontinentali, una Supercoppa europea, tredici titoli inglesi, cinque FA Cup, quattro Coppe di Lega e dieci Community Shield, la supercoppa nazionale: dopo di lui, il diluvio. L’ex allievo è solo l’ultimo di una serie di eredi che dal 2013, quando il rubizzo neo-ottantenne ha lasciato l’impegno attivo in panchina, non si sono avvicinati ai successi e alla mitografia del tecnico più vincente della storia: non si tratta solo di imprimere la propria mano nel gioco, nelle scelte tecniche e nella comunicazione, anche quando il match conta meno. Chi sostiene che un coach influisca solo per il 20 per cento nei traguardi di un club, almeno in questo caso dovrebbe ricredersi: calciatori come Beckham, Giggs, Scholes, Keane, i Neville (lo zoccolo duro) e ancora Cristiano Ronaldo, van Nistelrooy, Tevez, Schmeichel, Stam si presentano da soli, ma se sono arrivati a essere stellari e a saper giocare bene assieme, ad avvertire motivazioni in continuazione e trovarsi inappuntabili anche fuori dal campo lo devono in buona parte al Carisma in persona. Che non avrà “insegnato calcio”, secondo i giochisti di oggi, ma sicuramente ha trasmesso ai suoi elementi il know-how per non perdere: ovvero per vincere, magari da subito.

 

Due ali diseguali, una a rientrare per i cross a brioche l’altra ad attaccare la profondità; un paio di prime punte talentuose e veloci, intercambiabili e complementari. Quindi, interni box-to-box dai piedi buoni e difesa britannica piazzata, ma capace di sguinzagliare i terzini. Con Sir Alex Ferguson lo stadio di Old Trafford è diventato il Teatro dei Sogni per intere generazioni di tifosi, non solo mancuniani. Un brand di cui il tecnico era e resta portabandiera primo, al pari dei Busby babies, nonostante il passare del tempo storico e dei giocatori (ma un nucleo fisso rimaneva ogni anno): rispettoso dei big, aveva fiuto per i giovani talenti, notando le doti del diciottenne portoghese Cristiano Ronaldo Aveiro dos Santos, chiamandolo a sé e trattandolo come un figlio.

Proprio il Sir ha pilotato il rientro dell’asso, lo scorso settembre: “Non puoi andare al City”, gli ha detto, è questione di identità. La stessa che lo ha portato a rivendicare sempre le sue idee laburiste e a rintuzzare quanti lo avrebbero visto volentieri tra gli influencer dell’autonomia scozzese: ciononostante, si sente orgogliosamente figlio della Croce di Sant’Andrea, la cui rappresentativa ha condotto con dignità nel girone della morte ai Mondiali di Messico 1986 contro Danimarca, Germania Ovest e Uruguay. Crismi che, assieme agli exploit del suo Aberdeen (2-1 in finale di Coppa delle coppe al Real Madrid nel 1983), hanno aperto le porte a una delle più intense e solide leggende del calcio mondiale: come la Juve di Trapattoni, l’Olanda di Michels, il Milan di Sacchi, per sempre il Manchester United rimarrà inscindibile dall’aura di Sir Alex Ferguson.