lui è lui
Fate giocare Djokovic
Ogni regola ha la sua eccezione e un talento eccezionale val bene una messa in calzoncini e scarpette
Autorità, invidiosi e moralini non capiscono la gioia per il numero uno e per chi lo vuole battere di una lunga e dura e leale partita di tennis
Il rigorista palloso dice che Djokovic va trattato come gli altri e quindi se non si inocula non può vantare esenzioni e giocare in Australia. La cosa sta facendo obliqui progressi, confidavo nel moralismo non troppo esigente di una nazione di ex galeotti, ma si sono messi anche loro a fare la voce grossa con quelli di Melbourne e dell’Open. Il rigorista palloso è un fan sfegatato di Umberto Eco e della sua peraltro riverita memoria, a novant’anni dalla nascita. Noi che lo combattemmo proprio per ragioni morali contrapposte, all’epoca del Palasharp, della crociata dei bambini contro il Cav. e del legno storto dell’umanità, abbiamo preso atto che un grande tg nazionale ha messo al centro della giornata celebrativa una sua frase mica male: “Democrazia è anche accettare ingiustizie minori perché non se ne compiano di maggiori”.
Ecco fatto. Il tennis è di per sé uno sport distanziato, con qualche accorgimento negli spogliatoi e nella bolla asettica di Melbourne, ora che i giocatori devono prendersi da soli l’asciugamano per tergersi del sudore, non ci sono pericoli eventuali di infettare alcuno. Che la legge sia eguale per tutti è il massimo teorico della giustizia, sebbene da Rabelais in poi, e anche prima, siano stati non pochi a celebrare l’impossibilità di una vera giustizia, ché non aver riguardo per nessuno è un po’ come essere ciechi, ma per i relativisti, cioè per tutti i rigoristi moderni che fanno la lagna su Nole, e per Eco, un quantum di ingiustizia minore può compensare, come dicevamo, come diceva il maestro, il rischio di un’ingiustizia maggiore. Ci rendiamo conto del danno ingiusto che si commetterebbe, non tanto e solo verso il numero uno del tennis mondiale, ma verso chiunque voglia, e sono parecchi, siamo un mare, godersi un torneo dei primi quattro al mondo che non sia mutilato del suo eccelso campione?
Si può certo non prediligere Novak Djokovic. Fa il compagnone con i serbi della fazione violenta e spergiura che non ci piace punto. Rompe le palle con i vaccini per una strana e sorridente o ghignante tigna a noi incomprensibile, ma per la verità anche Agamben e Cacciari non sono da meno. C’è chi gli preferisce, quorum ego, l’eleganza danzante di Federer, e trova alla fine monotone e un tantino burocratiche le sue spaccate e aperture d’ala che lo rendono imprendibile talvolta, perde anche lui, intendiamoci, e come si dice ingiocabile. But he happens to be, da un numero inverosimile di settimane, il numero uno del ranking mondiale, mai nessuno come lui eccetera. E dunque lui è lui, e noi chi siamo per impedirgli di giocare, a parte il nostro rigore assoluto che siamo nella vita i primi, di tanto in tanto, a trasgredire, senza occupare posti così insigni in alcun ranking, tanto meno mondiale?
Certo non è un esempio civico. Difficile, sebbene non impossibile, spiegare a scuola o in un ospedale affollato di covidati tanta liberalità. Tuttavia ogni regola ha la sua eccezione, un talento eccezionale val bene una messa in calzoncini e scarpette che celebra palline e racchette. Autorità, piagnoni di mestiere, invidiosi di riporto, moralini che non hanno letto nemmeno Eco, per non dire Kant, e tutti coloro che non capiscono la gioia incommensurabile per il numero uno e per chi lo vuol battere di una lunga e dura e leale partita di tennis, volete darvi una calmata e riconoscere, con il marchese della commedia all’italiana, che lui è lui e voi non siete un cazzo?