Il foglio sportivo
Il calcio è malato, non solo di Covid. Ora Draghi sollecita Gravina alla prudenza
La Lega di Serie A si è mossa in ritardo. E il premier avverte il presidente federale: o si cambia qualcosa o si rischia una nuova riduzione della capienza. Indagine su un protocollo che può falsare il campionato
Il calcio è malato, la Serie A è malata, ma non è colpa soltanto del Covid. Il virus ci ha messo molto di suo, d’altra parte sta scombussolando le nostre vite, ma colpendo il pallone ha avuto vita facile per diffondersi senza trovare solidi ostacoli. Che il maledetto Covid stesse tornando a far paura dopo l’ennesima mutazione lo avevano capito praticamente tutti tranne i geni che governano la Lega Calcio e la nostra Serie A. Forse l’amministratore delegato Luigi De Siervo era troppo impegnato a ritirare il premio al Globe Soccer Awards di Dubai per preoccuparsi di migliorare le difese in vista della ripartenza del campionato in calendario il giorno dell’Epifania. È stato davvero folle pensare che tutto potesse continuare come prima, dopo che si era dato il liberi tutti ai giocatori per le vacanze di Natale permettendo viaggi transoceanici, mete esotiche e tutto quello che ne consegue. Avanti come se nulla fosse, facendo finta di niente, nonostante sia Coni che Figc (nel consiglio federale prenatalizio) avessero sonato l’allarme.
Le nuove regole (che poi erano quelle vecchie rispolverate) sono state varate a tempo praticamente scaduto, mentre l’Inter era in campo ad aspettare il Bologna, tanto che sono dovute intervenire anche il sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali chiedendo una “Cabina di regia permanente per i campionati” e il ministro degli Affari regionali Mariastella Gelmini che ha aggiunto “Il Governo sta lavorando a un’intesa tra le Regioni e la Lega Serie A per stabilire una regolamentazione uniforme, con criteri precisi, in merito alla disputa delle partite e al prosieguo del nostro massimo campionato di calcio nonostante la recrudescenza della pandemia”. Mercoledì conferenza Stato-Regioni con il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il sottosegretario Vezzali. Pensarci prima no?
La mancanza di linee guida tempestive è stata clamorosa. Si sono vissuti giorni di grande confusione con Asl che hanno deciso autonomamente, dipendendo dalle regioni e non dal ministero. Ci sono così state squadre con 11 positivi (il Verona) costrette a giocare (e a vincere), mentre altre con molti positivi in meno sono state bloccate prima del via, altre (come il Napoli) che hanno infranto la quarantena. Il pasticcio delle Asl che vanno per la loro strada, decidendo ognuna a modo suo ha indubbiamente complicato molto la situazione, ma non era il caso di svegliarsi prima riscrivendo il protocollo in tempo per salvare la giornata della Befana? Di sospendere le partite prima di fare intervenire le Asl… E poi siamo seri, che senso ha stabilire per legge che una partita deve essere disputata se una squadra ha a disposizione, perché negativi ai test, almeno tredici giocatori (di cui almeno un portiere) tra quelli iscritti nella rosa della Prima Squadra e della formazione Primavera nati entro il 31 dicembre 2003. Che campionato può essere quello con una squadra costretta a giocare con solo 13 giocatori, molti dei quali magari pescati tra i ragazzi della Primavera? D’accordo che è stata mutuata una direttiva Uefa, ma chi ha detto che l’Uefa abbia ragione? Tanto che poche ora dopo la votazione la Lega si è già spaccata sul protocollo. Soprattutto si è però deciso in ritardo, a giornata andata in onda monca. No, non è soltanto colpa del Covid. Il virus sta mettendo allo scoperto dei limiti enormi sul ponte di comando della nostra Serie A preoccupata a salvare la supercoppa italiana i cui diritti Tv sono stati profumatamente venduti, ma non altrettanto pronta a mettere al riparo un campionato che ora rischia di incartarsi perché il calendario imposto dal calcio mondiale è qualcosa di assolutamente demenziale. Con l’aggravante che adesso vorrebbero imporci anche un Mondiale ogni due anni.
Il calcio quando ha bisogno di finanziamenti racconta di essere una delle prime aziende del paese: poteva e doveva pensarci prima. Doveva alzare le difese in tempo invece di continuare con la commedia dell’assurdo di squadre in campo ad aspettare avversarie che non sarebbero mai arrivate e il giudice pronto a comminare un 3-0 a tavolino destinato a durare quanto una palla di neve sotto il sole (anche se forse questa volta la palla non si scioglierà del tutto mormora qualcuno). Sarebbe bastato sedersi di fronte a uno specchio e porsi qualche domanda. Magari partendo dalla più banale di tutte: come potremmo combattere l’avanzata inesorabile del virus? Per rispondere non sarebbe stata necessaria una laurea alla Sorbona con master ad Harvard. Sarebbe bastato limitare gli spostamenti dei calciatori durante le vacanze. Sono professionisti, strapagati. Se in un momento in cui tutti stanno facendo delle rinunce si fosse chiesto a loro di rinunciare a viaggi, vacanze, feste e festine, anche l’associazione calciatori avrebbe avuto delle difficoltà ad opporsi.
Ci sono sport che chiudendosi in una bolla hanno concluso le loro stagioni. Società che hanno chiesto ai loro tesserati di limitare i contatti. Soprattutto si poteva mettere la Serie A al riparo prima del diluvio. Opzioni a disposizioni ce n’erano. Il consiglio di Lega si è riunito quando i buoi erano già scappati. La prevenzione dovrebbe essere attuata anche nello sport. Soprattutto se in ballo c’è la salute. Tanto che, dopo aver visto troppi abbracci tra i tifosi in tribuna e per evitare il peggio, è intervenuto personalmente anche Draghi con una telefonata al presidente federale Gravina: o si cambia qualcosa o si rischia una nuova riduzione della capienza. C’era addirittura chi voleva sospendere il campionato. Le Asl non sembrerebbero l’unico problema del pallone.
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