La storia
Il sogno del Gambia, l'underdog della Coppa d'Africa. Il ct: "Non abbiamo paura di nessuno"
La nazionale guidata dall'allenatore belga Tom Saintfiet si è qualificata alla competizione continentale per la prima volta nella storia. "Motivo la mia squadra mostrando le immagini della Danimarca 1992 e della Grecia 2004. Obiettivi? Non li dico"
Da quelle parti lo hanno acclamato, benedetto, santificato. E adesso sperano possa fare altri miracoli. Tom Saintfiet, "the saint", il santo, ha però i piedi cementati al suolo: “Dobbiamo essere realisti”. Certe volte, però, la dolce brezza dei sogni culla anche lui. Ed è così per tutti, in Gambia. Nell’attesa di prendere parte per la prima volta alla Coppa d’Africa al via il 9 gennaio. “E’ molto speciale il fatto di esserci qualificati per la prima volta nella storia del Paese” racconta al Foglio il ct belga. Cresciuto a Mol, nelle Fiandre, 48 anni, una vita in panchina. A un certo punto Saintfiet ha trovato la sua Africa. Nel 2008 la Namibia, poi (tra le tante, tantissime altre squadre) Etiopia, Malawi, Togo, Trinidad. Fino al Gambia. “Quando ho cominciato a ricoprire questo ruolo di ct, nel 2018, il Gambia per un lungo periodo non ha ottenuto vittorie. C’era da nascondersi, la squadra era poco abituata ad affrontare sfide competitive. L’emozione che ha accolto la nostra qualificazione dimostra quanto fosse importante per tutto il Paese”.
Per quel che conta nel calcio, il ranking Fifa li tiene al 150esimo posto. Fortuna che il calcio è bellezza e imprevedibilità, altrimenti che senso avrebbe? “Il Gambia è sempre stato il fratellino piccolo del Senegal, ma oggi la gente può essere orgogliosa della squadra. Per me come ct ovviamente è un orgoglio fare parte di questo gruppo, di questo team”. Si comincia (forse) tra mille complicazioni, che torneo sarà? “Difficile, in circostanze complicate: per la situazione della pandemia, ovviamente, ma anche perché siamo in gruppo con tre squadre che hanno molta più esperienza di noi, per noi è la prima volta a questi livelli. Non sarà facile, ma non vedo l’ora. Vogliamo mostrare le migliori qualità di questo continente”.
Cosa pensa dei club (non solo quelli di Premier) che hanno fatto polemiche sulle convocazioni dei giocatori? “E’ assurdo, si è giocato e si gioca in tutto il mondo durante la pandemia, non ci sono prove scientifiche del fatto che ci siano più casi di Covid in Camerun che in Inghilterra o in Belgio o in altri paesi. Il Covid è dappertutto. Mi sembra che i numeri in questo momento in Inghilterra siano molto severi, credo che il rischio sia più alto lì che in Camerun. Questo è frustrante, se ci fossero prove scientifiche lo capirei ma così non è corretto. Sono solo sospetti, non è leale che in Europa si blocchino i giocatori che vogliono andare in nazionale. La decisione di Fifa e Caf di non lasciar partire i giocatori di Premier fino al 3 gennaio è stata una catastrofe per i ct che non hanno potuto allenarli. Questi giocatori potrebbero essersi presi il Covid nei loro club, e comunque non si sono potuti allenare con le loro nazionali, non hanno potuto giocare le ultime amichevoli con i compagni, abbiamo perso un sacco di tempo. Se giochi, la nazionale è il massimo che puoi raggiungere, in Europa, in Africa, in Australia o in Sudamerica, e nessuno dovrebbe impedirti di arrivarci. L’Europa dovrebbe rispettare di più il calcio africano, ogni squadra ha un ottimo staff medico, dottori, fisioterapisti. Tutti sono preparati e professionali, camere singole, mascherine, distanze”.
E’ preoccupato per la situazione pandemica? “Ovviamente sì. Nel team abbiamo diversi casi in questo momento, abbiamo convocato 28 giocatori e con molti casi diventerà difficile, è una situazione complessa ma riguarda tutto il mondo. I nostri casi vengono dall’Europa, non dall’Africa, sono ragazzi che giocano là e che hanno portato il Covid qui. Posso avere qualche alternativa ma ovviamente ci ho perso”. Il calcio africano in cosa deve crescere ancora? “Prima cosa: tutti devono rispettare il calcio africano. La gente deve capire che la Coppa d’Africa è importante come la Copa America o l’Europeo. Tutti i grandi club europei hanno giocatori africani, tutti di qualità, ci vuole rispetto per i giocatori e per i paesi africani. Se tu vuoi essere rispettato dagli altri devi rispettarli tu per primo, e questo l’Europa deve impararlo”. E poi? “Ovviamente le infrastrutture devono essere migliorate in tutta l’Africa, anche per tirare su i ragazzi da quando hanno cinque o sei anni, con ottimi coach come succede in Europa. Qui ancora troppi giocatori vengono su giocando per strada, o sulla spiaggia. Ci vogliono dei programmi seri di sviluppo come quelli di Italia, Francia, Germania, Belgio. Allora sì che anche i grandi paesi africani potranno pensare di vincere un Mondiale, parlo di Nigeria, Camerun, Ghana, e anche dei paesi dell’Africa del Nord come Marocco, Egitto e Algeria. I loro migliori giocatori giocano già in grandi club europei, sono ottimi giocatori, con un programma di sviluppo ce ne potrebbero essere molti di più”.
Il Gambia è un Paese piccolo, lì come si deve agire? La qualificazione ha dato uno slancio. “E’ un paese bellissimo dove tutti amano molto il calcio. Mi ricordo il primo match contro l’Algeria, c’erano 45.000 persone in uno stadio che ne tiene 25.000, c’era gente seduta sul tetto, per terra, ovunque. Ma quando abbiamo perso in Togo, che era 15 posizioni sopra di noi nel ranking Fifa, non potevamo lasciare il campo perché ci lanciavano pietre, bottiglie, la polizia ci ha dovuto aiutare a uscire. Questo mostra quanto siano coinvolti i tifosi. Allo stesso modo le celebrazioni per questa qualificazione sono state favolose”.
Le aspettative sono altissime, allora. “Prima, durante la Coppa d’Africa, i gambiani erano costretti a tifare Senegal perché loro non c’erano, questo è un momento speciale per tutti i gambiani, hanno voglia di fare festa. Qualcuno in Gambia si aspetta di diventare campione d’Africa come minimo, in un torneo come questo c’è sempre pressione anche se alleni un piccolo paese. Tutti sono liberi di aspettarsi una vittoria, non è realistico ma sono liberi di sognare, di avere aspettative. Loro sono così, se domani dovessero giocare contro l’Italia o il Brasile si aspetterebbero di vincere. Non è realistico, ma è la loro passione. Non è facile giocare con questa pressione addosso. Però cercheremo di farli felici, di scrivere ancora un po’ di storia insieme”.
Vi sarete posti degli obiettivi. “Abbiamo deciso i nostri obiettivi a porte chiuse, senza dire nulla. Ovviamente siamo sportivi, abbiamo degli obiettivi. Quando sono arrivato, tre anni e mezzo fa, avevo detto che il mio traguardo era qualificare per la prima volta il Gambia per la Coppa d’Africa. Nessuno ci avrebbe scommesso. Eppure ci siamo qualificati. Anche adesso sono ambizioso, ho dato degli obiettivi ai giocatori, allo staff, e faremo il possibile per centrarli. Non posso ancora fare promesse, non voglio dire quale obiettivo ci siamo dati, non voglio aggiungere pressioni esterne sul team, questo sarebbe negativo, ma posso dire che lotteremo per raggiungerlo”. Il girone è complicato. “Nel gruppo abbiamo Tunisia, Mali e Mauritania, squadre molto forti, con tanta esperienza. La Tunisia è naturalmente favorita, era anche agli ultimi Mondiali in Russia, il Mali è molto forte, sarà molto complicato ottenere risultati. Dobbiamo dare il meglio di noi, scoprire i nostri limiti e diventare più forti in futuro. Tutti gli avversari sono meglio di noi, nel ranking Fifa siamo la squadra col peggior ranking mai qualificata per la Coppa, siamo underdog”.
E per lei, personalmente, cosa rappresenta questa qualificazione? “Come allenatore, nei club o in nazionale, voglio prima di tutto vincere. Odio perdere, con le mie squadre faccio sempre tutto il possibile per vincere, e adesso giocare questa Coppa è un premio, il raggiungimento di un obiettivo. E’ bello essere qui a fare questo torneo, ma si parte da zero punti per cui devi ricominciare a dimostrare, a migliorare di essere diventato migliore, più forte”. I mesi di avvicinamento alla competizione, invece, come sono andati? “Non molto fortunati nel 2019, abbiamo faticato a trovare avversari di livello perché gli altri avevano le qualificazioni ai Mondiali. Poi abbiamo avuto problemi finanziari, non abbiamo potuto fare un training camp in settembre per il basso budget, e anche in novembre abbiamo potuto giocare soltanto una partita perché non c’erano soldi per farne due. Però ho usato gli ultimi sei mesi per visionare giocatori”.
Nel lungo periodo, cosa spera possa cambiare in Gambia? “E’ la prima volta che ci qualifichiamo, e non dovrà essere l’ultima. Il Gambia deve diventare un team che entra regolarmente in Coppa d’Africa, nel 2023, nel 2025 e così via. Quindi siamo qui per imparare, per migliorare il nostro livello, abbiamo molti giovani, molti talenti, voglio farla diventare una squadra che sarà sempre rispettata in futuro”. Cosa dirà prima del fischio d’inizio? “Quello che dico per motivare la squadra dipende dal momento, dalla situazione. Abbiamo una musica per caricarci. Ho dei video, quello della Danimarca che nel ’92 arrivò all’Europeo all’ultimo momento e lo vinse. Quello della Grecia quando vinse in Portogallo e anche quello dello Zambia che diventa campione d’Africa nel 2012. Dobbiamo sognare, essere ambiziosi, lavorare duramente, dobbiamo credere in quello che facciamo e credere nella disciplina tattica perché noi abbiamo talento ma i nostri avversari sono più forti. Non dobbiamo avere paura di nessuno, ma se non siamo disciplinati tatticamente possiamo perdere da chiunque”.