l'attesa di nole
Ecco perché Djokovic potrebbe ancora essere espulso dall'Australia
Il campione serbo ha ammesso di aver violato l'isolamento sapendo di essere positivo. E nei referti dei suoi tamponi ci sono una serie di incogruenze. La decisione del governo australiano è attesa nelle prossime ore
Lunedì Novak Djokovic è stato provvisoriamente legittimato da un tribunale a restare in Australia. Ma non è detto che ci rimarrà abbastanza a lungo da poter disputare gli Australian Open. Perché sul destino del numero uno al mondo pende ancora la decisione del governo australiano, in particolare del ministro dell'Immigrazione Alex Hawke, che sta esaminando i documenti forniti dal serbo e dal suo entourage per chiarire la natura dell'esenzione medica fornita dallo stato di Vittoria: il nulla osta che ha permesso a Djokovic di entrare nel paese pur non essendo vaccinato.
Nelle ultime ore, alla vigilia di una decisione che o ammetterà definitivamente Djokovic nel torneo o lo rispedirà a casa con un embargo di almeno tre anni, sono emersi ulteriori dettagli sulla vicenda. Molti dei quali raccontati dallo stesso Djokovic con un post sui social.
In pratica il serbo fa una serie di ammissioni: anzitutto sull'errore nella compilazione dei documenti di viaggio prima dell'arrivo in Australia (sarebbe passato prima dalla Spagna invece che partire direttamente dalla Serbia), che lui ha addebitato al suo staff. Ma poi soprattutto chiarisce quanto in parte stavano già raccontando i giornali europei. E cioè che avrebbe, dopo aver saputo di essere risultato positivo al Covid-19 il 17 dicembre, violato l'isolamento concedendo un'intervista all'Equipe. "Mi sentivo in obbligo di procedere con l’intervista perché non volevo deludere i giornalisti, ma mi sono assicurato di rimanere a debita distanza ed ho indossato la maschera a eccezione dei momenti nei quali sono state scattate le fotografie. Mentre tornavo a casa dopo l’intervista per procedere al mio isolamento, ho capito di aver commesso un errore di giudizio e ho realizzato che avrei dovuto rimandare l’impegno", ha scritto.
Negli ultimi giorni erano circolate diverse immagini di sue partecipazioni a eventi pubblici nelle date immediatamente successive a quando Djokovic ha comunicato di essere venuto a conoscenza della sua positività. Ma il tennista anche su questo si è difeso. Il 14 dicembre, dopo aver assistito a una partita di basket a Belgrado, ha saputo di essere venuto a contatto con alcuni positivi. Ha sostenuto due test antigenici (entrambi negativi) e il 16 dicembre si è sottoposto a un test molecolare: la sera è risultato positivo ma la notizia gli sarebbe stata comunicata solo nel tardo pomeriggio del 17 dicembre. Anche su questa versione dei fatti, però, ci sono dei dubbi. Perché il settimanale tedesco Der Spiegel, grazie al lavoro di alcuni programmatori, ha scoperto delle incogruenze nella numerazione dei tamponi che attestano la positività e la negatività di Djokovic: il referto positivo sarebbe stato generato non il 16 ma il 26 dicembre. Quindi addirittura in seguito al referto negativo.
Dettagli che rischiano di complicare l'iter per l'ottenimento del visto, che consentirebbe a Djokovic di disputare il torneo dello Slam e cercare la ventunesima vittoria nei major. L'Australian Open, dal canto suo, sta mostrando i primi scricchiolii organizzativi, alle prese con la gestione delle quarantene dei positivi e l'effettuazione dei tamponi. Molto clamore hanno suscitato le parole del tennista australiano Bernard Tomic. Che in un cambio campo, parlando con l'arbitro, si è sfogato per il lavoro a suo dire insufficiente degli organizzatori. "Ti offro la cena se non sono positivo entro tre giorni. Nessun fa i test molecolari. Stanno permettendo ai giocatori di entrare in campo dopo aver fatto test rapidi nelle loro stanze".
Se scoppiasse un focolaio, non sarebbe un bello spot per un torneo che, dopo la vicenda Djokovic, ha gli occhi del mondo puntati addosso.